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Galenus, Claudius - De oculis » Bruno, Giordano Spaccio - p. 497

Bruno, Giordano

Spaccio de la bestia trionfante


sabilmente ognuno ti giudica (benché io solo ardisca di
dirlo) vinto et oppresso da l'atra bile: perché in questa
occorrenza, che non siamo convenuti provisti a far conse-
glio; in questa occasione, che siamo uniti per la festa; in
questo tempo dopo pranso, e con queste circonstanze
d'aver ben mangiato, e meglio bevuto, volete trattar di
cose tanto seriose quanto mi par intendere, et alcuna-
mente posso annasare col discorso». Ora, perché non è
consuetudine né pur molto lecito a gli altri dèi di disputar
con Momo, Giove avendolo con un mezzo et alquanto
dispettoso riso remirato, senza punto rispondergli monta
su l'alta catedra, siede, remira in cerchio la corona de l'as-
sistente gran Senato. Da quel sguardo convien ch'a tutti
venesse a palpitar il core e per scossa di maraviglia, e per
punta di timore, e per émpito di riverenza e di rispetto,
che suscita ne' petti mortali et immortali la maestade
quando si presenta. Appresso, avendo alquanto bassate le
palpebre, e poco dopo allunate le pupille in alto, e sgom-
brato un focoso suspiro dal petto, proruppe in questa
sentenza:
Orazione di Giove.
«Non aspettate, o Dèi, che secondo la mia consuetu-
dine v'abbia ad intonar ne l'orecchio con uno artificioso
proemio, con un terso filo di narrazione e con un delet-
tevole agglomeramento epilogale. Non sperate ornata
tessitura di paroli, ripolita infilacciata di sentenze, ricco
apparato di eleganti propositi, suntuosa pompa di ela-
borati discorsi, e secondo l'instituto di oratori, concetti
posti tre volte a la lima prima ch'una volta a la lingua:
non hoc, Non hoc ista sibi tempus spectacula poscit.
Credetemi dèi, perché credete il vero, già dodici vol-
te ha ripiene l'inargentate corna la casta Lucina, ch'io


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