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Cicero, Marcus Tullius - De officiis » Bruno, Giordano Spaccio - p. 599

Bruno, Giordano

Spaccio de la bestia trionfante

rise di luce e di sereno il cielo;
né portò peregrino
o guerra o merce a l' altrui lidi il pino:
ma sol perché quel vano
nome senza soggetto,
quel idolo d'error, idol d'inganno,
quel che dal volgo insano
onor poscia fu detto,
che di nostra natura il feo tiranno,
non meschiava il suo affanno
fra le liete dolcezze
de l'amoroso gregge;
né fu sua dura legge
nota a quell'alme in libertade avezze,
ma legge aurea e felice
che Natura scolpí: S'ei piace, ei lice.

Questa, invidiosa alla quiete e beatitudine o pur ombra
di piacere che in questo nostro essere possiamo pren-
derci, avendo posta legge al coito, al cibo, al dormire,
onde non solamente meno delettar ne possiamo, ma per
il piú sovente dolere e tormentarci: fa che sia furto
quel che è dono di natura, e vuol che si spregge il bello,
il dolce, il buono; e del male, amaro e rio facciamo sti-
ma. Questa seduce il mondo a lasciar il certo e presen-
te bene che quello tiene, et occuparsi e mettersi in ogni
strazio per l'ombra di futura gloria. Io di quel che con
tanti specchi, quante son stelle in cielo, la verità dimo-
stra, e quel che con tante voci e lingue, quanti son belli
oggetti, la natura di fuore intona, vegno da tutti lati de
l'interno edificio ad esortarlo:
Lasciate l'ombre et abbracciate il vero.
Non cangiate il presente col futuro.
Voi siete il veltro che nel rio trabocca,
mentre l' ombra desia di quel ch' ha in bocca.
Aviso non fu mai di saggio o scaltro
perder un ben per acquistarne un altro.
A che cercate sí lungi diviso


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