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Pseudo-Dionysius - De divinis nominibus » Patrizi, Francesco Della retorica - p. 13r

Patrizi, Francesco

Della retorica. Dieci dialoghi di Messer Francesco Patritio


Per qual guisa? Patritio. Mirate a Crasso, il quale più volte afferma, che l'Oratore
di tutte cose, si come di materia propria favella. Giovanni. Così afferma. Patritio. Et
poi anche dice in contrario queste parole: Sed si me audierit, quoniam philoso-
phia in tres partes est distributa, in naturae obscuritatem, in differendi subtilitatem,
in vitam atque mores, duo illa relinquamus. idque largiamur inertiae nostrae. Ter-
tium vero quòd semper oratoris fuit, nisi tenebimus, nihil oratori, in quo magnus
esse possit, relinquemus. Quare hic locus, de vita et moribus, totus est oratori
perdiscendus. Caetera si non didicerit, tamen poterit, si quando volet, ornare dicen-
do, cum erunt ad eum delata et tradita
. Le quali parole io ho fino dalla mia fan-
ciullezza fisse nella memoria, et già di molti anni me ne rammenta. Ma voi rico-
noscetele per parole dette da Crasso? Giovanni. Si riconosco. Patritio. Et s'io ben l'in-
tendo, e' pare, che ei ritiri quella tanta larghezza di materie di tutte le mondane
cose, alla morale sola. Giovanni. Così fa, per lo vero. Patritio. Egli adunque ci ingan-
nò, et volle confermare negli animi nostri questo inganno, con queste altre. Ta-
men illud tenebo, si quae caeteris in artibus aut studis sita sunt, orator ignoret, tan-
tumque ea teneat, quae sint in disceptationibus, aut in usu forensi, tamen his de re-
bus ipsis, si sit ei dicendum cum cognoverit, ab is, qui tenent, quae sint in qua re,
multo oratorem melius, quàm ipsos illos, quorum eae sunt artes, esse dicturum
.
Nelle quali s'andò prestringendo anco più; da tutte cose morali, naturali, et ma-
tematiche, a quelle del foro sole, et all'ornamento delle parole, lasciando l'altre co-
se, a gli altri savi in esse. Giovanni. Sta così né può altro negarlo. Patritio. Infinite mi-
glia adunque e' pare che egli camini lontano dalla proposta prima. Giovanni. È così?
Patritio. Egli adunque ci usò grande inganno nella contrarietà del suo insegnamen-
to, la quale portata ne gli animi altrui dallo splendore dell'autorità di Crasso, gli
abbaglia et in errore ne gli tiene. Il che mostra, che Cicerone facesse a grande stu-
dio; poscia che egli cercò di ciò fare con l'autorità di Antonio parimente. Giovanni.
Et in quale guisa per Dio, cotesto altro? Patritio. Ei non ha dubbio, che Antonio
tiene quivi lunghissima tenzone contra Crasso, volendo, che l'oratore habbia il suo
proprio campo a correre, nel foro, et nel senato; et per le cose sole, che in que
due luoghi, conviene di trattarsi non è ciò vero? Giovanni. Si è. Patritio. Poi nel secon-
do libro volle, che fosse mestiere dell'oratore, lo scrivere l'historia? Giovanni. Et que-
sto volle. Patritio. Et l'historia, pure non viene, né in foro, né in Senato? Giovanni. Non
viene certo. Patritio. Et non contento di questo inganno, che di vero è grande, disse
appresso queste parole. In eodem silentio multa alia oratorum officia iacuerunt,
cohortationes, consolationes, praecepta, admonita
. le quali medesmamente non han-
no luogo, né tra Senatori, né avanti a giudici. Giovanni. Voi dite verissimo. Patritio.
Dalle quali contrarietà di ambedue questi huomini verso di sé, et dell'uno verso
l'altro, et dall'inganno mandatoci nell'anima da loro, non potremo noi dir col ve-
ro, di sapere, quale cosa delle dette da loro sia la vera. Giovanni. Nò, sembra a me.
Patritio. Et conviene, o così dire, o confessare di non havere inteso il parlar loro. Giovanni.


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