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Galenus, Claudius - De febrium differentiis » Patrizi, Francesco Della retorica - p. 30v

Patrizi, Francesco

Della retorica. Dieci dialoghi di Messer Francesco Patritio


dite. Patritio. Bene adunque sta. et se egli è ciò, egli sarà vero, che quello, che è pro-
prio ad uno, non sia commune a molti. Sansovino. Nò, senza fallo. Patritio. Et quello,
che commune è a molti non possa essere proprio a veruno. Sansovino. Ne questo, ma
che facio? Patritio. Ei fa, che facendo egli qui, propria dell'oratore la gravità, et
l'ornamento del parlare, altrove ei l'accommuna con molti altri. Sansovino. Et dove
fa egli questo? Patritio. In quelle parole. “Agerent enim tecum lege, primum Pythagorei
omnes atque Democritici, caeterique in suo genere physici. Vindicarentque ornati ho-
mines in dicendo et graves
.
” A quali soggiunge una lunga schiera di Socratici, di
Academici, di Stoici, di Peripatetici, di Matematici, di Grammatici, di Musici. con
queste altre in fine. “Quorum artibus, vestra ista dicendi vis, ne minima quidem
societate coniungitur
.
” Non vi ricorda di questo luogo? Sansovino. Si fa di vero. Patritio.
Et di questo altro? “Et principi longe omnium in dicendo gravissimo, et eloquen-
tissimo Platoni
.
” Sansovino. Certo si. Patritio. Et appresso di questo altro? “Etenim si
constat inter doctos hominem ignarum Astrologiae, ornatissimis atque optimis ver-
sibus, Aratum, de coelo, stellisque dixisse
.
” Sansovino. Si. Patritio. Et poco stante. “Est enim
finitimus Oratori poeta, numeris astrictior paulo, verborum autem licentia libe-
rior: multis vero ornandi generibus socius, ac pene par
.
” Sansovino. Et di questo mi
sovviene. Patritio. Et di questo altro, altresì vi dovrà sovenire. Sansovino. Di quale?
Patritio. “Apud Graecos autem eloquentissimi homines, remoti a causis forensibus, cum
ad caeteras res illustres, tum ad scribendam historiam, maxime se applicaverunt.
Namque et Herodotum illum, qui princeps genus hoc ornavit, etc.
Sansovino. Et di
questo anchora mi soccorre. Patritio. Al quale Herodoto, aggiunge egli appresso,
Tucidide, Filisto, Teopompo, Eforo, Senofonte, Callistene, et Timeo. I quali tutti
vanno in ischiera, sotto quello stendardo. “Eloquentissimi homines.” Sansovino. Non si
può dire altrimenti. Patritio. In qual maniera e adunque o l'ornamento, o l'eloquenza
propria dell'oratore, se essi sono messi in commune da lui medesimo, con tanti Filo-
sofi, d'ogni maniera, con i Poeti, et con gli Historici, et altrove etiandio co sofisti.
Sansovino. Io vi dirò il vero o Patritio, ch'io hoggi mai non l'intendo, o voi siete un gran
sofista. Patritio. Et questo è quello, ch'anco me confonde. Et io vi dirò, ch'io per la
troppa eloquenza di questo huomo, non so aparrar da lui veruna cosa, se non in con-
fuso, et in contrari sensi. Et questo apparare così fatto, è nulla, o più veramente,
danno. Sansovino. O Patritio, io vi sono amico, et vi vo bene, da questa sottigliezza
d'ingegno, che appar in voi: ma guardate che ella, altrui non paia troppa et fine
riportiate biasimo et forte danno. Patritio. Et perché? o Sansovin'amorevole. Sansovino.
Ch'egli non paia da così minuta ricerca, e da si sottile memoria de suoi detti, che
da voi, studio sia stato posto in contradire a Cicerone. Il che io non vorrei per nulla,
che voi mostraste altrui, si come havete fatto a me; percioché ella è cosa di periglio.
Patritio. Et cotesto accrescea doppio la mia infelicità, che egli non mi basta d'essere il
più ignorante huom del mondo, ma mi convenga anco temere di scoprire la mia
ignoranza altrui, per trarne quando che sia alcun rimedio. Et non mi sono io mosso,


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