Patrizi, Francesco
Della retorica. Dieci dialoghi di Messer Francesco Patritio
con altro studio a ragionar vosco, che con istudio di scoprirvi i dubbi miei, nati dal
le parole di quell'huomo soprahumano, le quali io ardo di intendere pel diritto, et
ve le ponea inanzi, perché voi me le spianaste. ma poi ch'io corro periglio di ripor-
tarne vituperio, io mi fuggirò di qui inanzi a corsa, di dirle altrui
per niuna cagio-
ne mai. Et voi con l'amorevolezza vostra sarete cagione, ch'io mi stia
per sempre
nella mia ignoranza. Sansovino. O, se voi'l fate per uscire d'ignoranza, e altro caso.
Patritio. Et non per altro il faccio. Sansovino. Et egli vi è licito il farlo. ma e' bisogna
considerare etiandio quelle parole, che potessero spianarvi, il desiderio vostro.
Patritio. Et quali parole? Sansovino. Quelle pur di Cicerone. “Physica ista
ipsa, quae paulo ante et mathematica, et caeterarum artium propria posui-
sti, scientiae sunt eorum qui
illa profitentur: illustrare autem oratione, si quis istas
ipsas artes velit, ad oratoris ei confugiendum est facultatem.
” Il che egli dice, essere
avvenuto, in Filone architetto, et in Asclepiade medico, et in altri, che accommo-
darono l'ornamento che oratoria cosa è, a
parlar del lor mestiere con eloquenza.
Patritio. Et qual cosa si trahe da queste parole? Sansovino.
Questa, che se gli altri scrit-
tori hanno ornamenti, essi gli hanno dall'Oratore. Patritio. Et questo a punto è quel-
lo, ch'io
dico, anch'io, che così mi pare. Ma è l'eloquenza di lui, che mi confonde
l'anima. Et poi dico ciò che un saggio et gran Mago già mi disse. Che beato il
mondo, s'egli non vi si fossero introdotti, tanti ornamenti de parlari, i quali ci han-
no oscurato la scienza delle cose.
Sansovino. O, et cotesto altro, è bene nuova
cosa.
Patritio. Percioché dicea il gran Mago,
s'egli si fosse conservata l'antichissima pro-
prietà de nomi delle cose, noi ci harremmo
conservato anco la scienza loro. Ma ella
è ita tanto avanti, l'eleganza, et la dolcezza del favellare, et dello scrivere, che
disrozando, et polendo et addolcendo più di continuo gli
antichi nomi, i quali se-
condo che la natura, ne gli formava, haveano il più dello aspro
et dello strepito-
so, si sono informati in gran diversità. Et di naturale, et di una forma,
che era il
parlar da prima, in tutti gli huomini; divisosi, secondo il talento della dolcezza
al-
trui, ha partorito le migliaia delle favelle. Intanto, che noi ci siamo hoggimai,
del-
la naturale lingua dimenticati affatto, et non riconosciamo più, sol'una delle
pri-
miere voci. Et cotanto danno ci siamo noi avanzati dalla vaghezza, et dalla
dol-
cezza della prononcia, la quale nacque di molto avanti a que' tempi, che gli
huo-
mini, perduto il vivere in santa pace d'oro; misero ad uso i tribunali, et le
consul-
te. Percioché la licenza di rimutare, et di addolcir le voci, crescendo a poco a
po-
co, et disperdendosi il natural significato loro, fece perdere insieme la
cognitione
delle cose. La quale, sendo caduti gli huomini in ignoranza, non pur dell'altre
co-
se, ma di se stessi, et dell'utile, et del vero, et del diritto, chiamò tra loro gli
odi,
et le nemista. Et quindi le fraudi, et l'ingiurie, et le liti et i giudici, et le
con-
sulte, et le leggi, i tribunali, et gli Oratori. Et io credendo et questo et
molte
piú cose, a quel saggio Mago, dico così tra me stesso. Et mirate, s'io dico
vero.
Sansovino. Miro. Patritio. Le quali cose, essendo così procedute in tutti gli
huomini,
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