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Homerus - Odyssea » Patrizi, Francesco Della retorica - p. 44v

Patrizi, Francesco

Della retorica. Dieci dialoghi di Messer Francesco Patritio


Anzi siete voi, che confondete il mondo, et non maraviglia. Patritio. Volete voi forse
dire, che l'Oratoria, et la Retorica, sia una stessa cosa? Pantaleone. Si voglio io per
certo, percioché il vogliono, tutti gli huomini intendenti: Patritio. Et io mi credeva,
che stesse altrimenti; et che Oratoria fosse quella, che adoprassero gli Oratori; et
Retorica quell'altra, che adoprassero i Retori. Pantaleone. Et quali addimandate voi
Retori? Patritio. Quegli, che insegnano la Retorica. Pantaleone. O, et non sono le
stesse cose, che insegnano i Retori, et che adoprano gli Oratori? Patritio. Sono adun-
que lo stesso queste due cose? Pantaleone. Et come per Dio, l'havete voi per nuovo?
Patritio. Io certo si. Pantaleone. O, nol dicono tutti i Retori cotesto? Patritio. Io nol so.
Ma egli è Cicerone, che mi ha fatto questo inganno. Pantaleone. In qual modo? Patritio.
Dicendomi, che molte cose dicono gli Oratori, che i Retori non sanno, né insegnano.
Pantaleone. Et dove, il dice egli? Patritio. In queste parole. “Nam si quis erit, qui hoc
dicat, esse quasdam Oratorum proprias sententias, atque causas, et quasi certarum
rerum forensibus cancellis circumscriptam scientiam, fatebor equidem, in his ma-
gis assidue versari hanc nostram dictionem. Sed tamen in his ipsis rebus, permulta
sunt, que isti magistri, qui Retorici vocantur, nec tradunt, nec tenent
.
” Pantaleone. O
cotesto, forse fu detto per giuoco, et voi subito vi ci siete appreso. Patritio. Alla
ventura, ma egli però, il dice più volte. Pantaleone. Et dove? Patritio. In queste altre.
Sed tum maxime hoc significabat, eos qui Rhetores nominarentur, et qui dicendi
praecepta traderent, nihil plane tenere
.
” Et più sotto poi. “Ipsa vero praecepta, sic
illudere solebat, ut ostenderet, non modo eos, illius expertes esse prudentiae, quam
sibi asciscerent, sed ne hanc quidem ipsam dicendi rationem ac viam nosse
.
” Pantaleone.
O queste parole sono di Carneade, da Antonio ridette. Patritio. Et quelle prime, so-
no pur di Crasso. Et Antonio stesso, poi dimostrò, che mestiere d'Oratore, era lo
scrivere l'historia, consolare, ammonire, far mill'altre cose. Et parlare in quistion
infinita, delle quali niuna è insegnata da Maestri di Retorica. Pantaleone. Voi dite il
vero, et io non posso più, et troppo tosto me fate ammutire. Patritio. Io per certo
nò. Ma egli è il gran Cicerone. o pur credete, che egli dica il falso? Pantaleone.
Anzi credo io, che ei dica il vero. Patritio. Egli non è adunque, tutta una cosa, la
Retorica, et la Oratoria, poscia che questa, ha molte più cose, che quella non si ha.
Pantaleone. È verissimo. Patritio. Ma quella, forse non ha cosa veruna, che questa non
tenga. Pantaleone. Così sta. Patritio. Quale adunque, diremo noi, di queste due, che arte
sia? Pantaleone. Ambedue hanno fama d'essere arti; percioché io non voglio hora af-
fermarlo per niuna. Così siete frettoloso, et arguto riprovatore. Patritio. Adunque
Platone dice il falso. Pantaleone. O, cotesto non so io; ma che dice egli? Patritio. Egli a
lungo si discende, in affermare nel Gorgia, che quella degli oratori, non sia arte,
ma isperienza. Et nel Fedro, che non sia arte quella de Retori, ma pure isperien-
za et cosa, ad arte precedente. Pantaleone. Non maraviglia, che Platone dica que-
sto. Percioché el puote essere, che ei facesse a sua vita, di molti sogni. Patritio. Si so-


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