Patrizi, Francesco
Della retorica. Dieci dialoghi di Messer Francesco Patritio
alcuna ragione, che il movesse a credere; chequesta più tosto, fosse una osservatione,
et una peritia, che arte; che gli diremmo noi allo'ncontro? Pantaleone.
Io gli direi, che egli si
ingannasse. Patritio. Ma s'egli di ciò, ci recasse il testimonio di Platone, che i precetti fos-
sero una raccolta di
sperienze, che gli dovremmo noi rispondere? Pantaleone. Che Platone
ciò dicesse, o per ischerzo, quale suol far egli; o altro tale. Patritio. Percioché non
bisogne-
rebbe dire, che Platone fosse huomo non intendente, di questo affare, essendo
egli stato
di molta lunga, eloquentissimo sopra tutti gli huomini. Pantaleone. Per certo nò. Patritio. Ma
se colui, vi recitasse parole di Cicerone cui si dee prezzare, a grande stima, che'l voles-
sero manifesto, che diremmo noi? Pantaleone. Secondo le parole, che ei recitasse. Patritio. S'elle
fosser queste. “Verum ego hanc vim
intelligo esse in praeceptis omnibus, non ut ea se-
cuti oratores, eloquentiae laudem
sint adepti, sed quae sua sponte, homines eloquentes fa-
cerent, ea quosdam
observasse, atque delegisse. Sic esse non eloquentiam ex artificio, sed
artificium ex eloquentia natum.
” Pantaleone. O, et queste parole
vogliono, che i precetti sie-
no bene raccolti si da parlari degli huomini eloquenti, ma
che ciò, artifìcio sia. Patritio.
Voi dite vero, et io sono errato. Ma se colui di più, recasse poi quest'altre. “Nam si ars
ita definitur, ut paulo ante exposuit Antonius, ex rebus penitus perspectis, planeque
cognitis, atque ab opinionis arbitrio se iunctis scientiaque comprehensis, non mihi vide-
tur ars oratoris esse ulla.
” Qual risposte gli daremmo? Pantaleone. Egli
recherebbe le paro-
le tronche, et quelle, che in suo proposito facessero. Il che non è
dovere. Et io so, ch'a
queste, seguono alcun'altre, che approvano la mia opinione. Patritio. Voi adunque pense-
reste, che colui
volesse, contendere vosco la sua opinione, et non la verità del fatto; in-
torno al
qual'egli portasse il dubbio? Pantaleone. Si. Patritio. Ma egli, com'huom che fosse
ac-
corto, per levarne questo sospetto, recherebbe queste altre, che seguono in questo
af-
fare. “Sin autem ea quae observata sunt, in usu ac tractatione dicendi, haec ab
ho-
minibus callidis ac peritis animadversa, ac notata, verbis dessignata,
generibus
illustrata, partibus distributa sunt; id quod fieri potuisse video, non intelligo,
quam-
ob rem non, si minus illa subtili diffinitione, et hac vulgari opinione, ars esse
videa-
tur.
”
Le quali, poi ch'egli vi havesse recate, si vi direbbe appresso, non
iscorgete
voi, o Pantaleone, che questa osservatione de precetti è
un'arte volgare, differente
dall'arte vera? Per cui confermatione, soggiugnerebbe tostamente queste altre.
“Sed fine est ars, sive artis quaedam similitudo, non est quidem ea negligenda;
verum
intelligendum est, alia quaedam ad consequendam eloquentiam esse maiora.
”
In che
certamente appare, direbbe egli, o avveduto Messer Giovanni, che l'arte de precetti,
è
arte per opinion del volgo, et simiglianza più tosto d'arte, et ombra: et non
ba-
stante a formare in verun'huomo l'eloquenza. Alle quali, quando anch'ei
sog-
giongesse: indarno si affaticano, o gentil capo tante migliaia di Retori,
che
d'ogni lato, quasi rane di palude, ci surgono intorno, et ci intronano l'orecchie,
col ricanto de lor precetti, poscia che essi, non ci sono a sofficienza, per ben par-
lare. Ma
voi non mi volete dire, ciò che voi gli rispondereste. Forse perché
ei vi pare, che egli si esca fuor della proposta: la quale fu di vedere, se i precetti
fossero arte: et noi siamo usciti, a vedere, s'essi sono utili, per l'eloquenza. Pantaleone.
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