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Plato - Sophista » Varchi, Benedetto L'Hercolano - p. 919

Varchi, Benedetto

L'Hercolano


veramente divino, e il nostro ha, se non parentela, grande amistà con
ello, come in un trattato che io feci già delle lettere e alfabeto toscano
potrete vedere. Nè voglio lasciare di dire che come i Greci havea-
no l'ωmega, cioè l'o grande o lungo, come in torre verbo, e l'οmicron,
cioè l'o picciolo e breve, come in torre nome, e come haveano due e,
l'una chiamata eta, la quale era lunga, e noi chiamiamo aperta, o vero
larga, come in mele liquore delle pecchie, e l'altra essilon, cioè tenue, o
vero breve, che noi chiamiamo e chiuso, o vero stretto, così haveano
ancora i Latini; ma perché essi non assegnarono loro proprie figure e
caratteri, come fecero i Greci e gli Hebrei, si sono perduti, conciosia cosa
che nessuna parola latina si pronunzia hoggi se non per o aperto et e
largo. Da gli accenti, perché infinite dizzioni toscane o intere, o
raccorciate forniscono coll'accento acuto, la qual cosa non fanno mai le
latine, se non se nelle monosillabe; oltra che i Latini ponevano l'accento
acuto, il quale è quello che solo si segna, o in su l'ultima sillaba, o in
sulla penultima, o in su l'antepenultima e non mai altrove, dove i
Toscani, il che è cosa più naturale, lo pongono e in su la quarta, e in su la
quinta, e in su la sesta sillaba, come l'essempio del Boccaccio allegato
dal Bembo, portàndosenela il lupo, e tal volta in su la settima, e
ancora in sull'ottava, per l'essempio addotto da messer Claudio, il quale
io per me non comprendo nè 'l so dirittamente profferire, fàvolanosi-


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