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Parmenides - Testimonia » Varchi, Benedetto L'Hercolano - p. 924

Varchi, Benedetto

L'Hercolano


d'undici sillabe o al più dodici, e i loro di diciassette e tal volta diciot-
to, che è quasi proporzione tripla; ma sia come si vuole, che chi tradu-
ce così dal greco come dal latino o prose o versi cresce o poco più o
poco meno che il terzo, il che dimostra la sperienza, la quale vince tutte
l'altre pruove insieme.
Conte. Voi havete detto che Platone non si cura della lunghezza,
dove le cose delle quali si ragiona portino il pregio; e pur la brevità è
lodata sì grandemente in Salustio.
Varchi. Questa non è la brevità delle lingue, ma quella degli
scrittori, la qual è un'altra maniera, percioché in una lingua stessa sono
alcuni che scrivono brevissimamente e alcuni con lunghezza.
Conte. Qual credete voi che sia migliore negli scrittori d'una
medesima lingua, l'esser breve o l'esser prolisso?
Varchi. La brevità genera il più delle volte oscurezza e la lun-
ghezza fastidio; ma perché la prima e principal virtù del parlare è la chia-
rezza, par che n'apporti men danno l'esser fastidioso che oscuro, e perciò
disse Quintiliano che la brevità, che in Salustio si loda, altrove sarebbe
vizio, e Cicerone che la brevità si può in alcuna parte lodare, ma in un
tutto e universalmente no. Ma vi conviene avvertire che altro è
non dire le cose soverchie e altro il tacere le necessarie. La buona e
vera brevità consiste non in dir meno, ma in non dir più di quello che
bisogna; e a ogni modo è, se non maggior bene, minor male pendere in
questo caso anzi nel troppo che nel poco, a ciò avanzi più tosto alcuna
cosa che ne manchi nessuna. Chi dice più di quello che bisogna
arreca peravventura fastidio ad altri; ma chi tace quello che tacere non
deve apporta danno a sé stesso. E per conchiudere, come in tutte
l'altre virtù, così in questa si deve eleggere il mezzo, cioè narrare tutto


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