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Plutarchus - De Alexandri Magni fortuna aut virtute » Varchi, Benedetto L'Hercolano - p. 553

Varchi, Benedetto

L'Hercolano


mette di voler fare cotale opera, allegò il Boccaccio, il quale nella sua
Vita di Dante scrive che egli la fece.
Conte. Non sono mica piccioli nè da farsene beffe questi argo-
menti; ma il libro che voi dite scritto in lingua latina da Dante, truovasi
egli in luogo alcuno?
Varchi. Io per me non l'ho mai veduto nè parlato con nessuno
che veduto l'habbia; e vi narrerò brevemente tutto quello che io ho da
diverse persone inteso di questo fatto; voi poi, come prudente e senza
passione, pigliarete quello che più vero o più verisimile vi parrà, che io
non intendo di volere per relazione d'altrui fare in alcuno modo pre-
giudizio a chiunche si sia, et meno alla verità, la quale sopra tutte l'altre
cose amare e honorare si deve. Havete dunque a sapere che messer
Giovangiorgio Trissino vicentino, huomo nobile e riputato molto, portan-
do oppenione che la lingua, nella quale favellarono e scrissero Dante, il
Petrarca e il Boccaccio e colla quale favelliamo e scriviamo hoggi noi,
non si devesse chiamare nè fiorentina, nè toscana, nè altramente che ita-
liana, e dubitando di quello che gli avvenne, cioè di dovere trovar molti,
i quali questa sua oppenione gli contradicessero, tradusse (non so donde
nè in qual modo se gli havesse) due libri della Volgar eloquenza, perché
più o non ne scrisse l'autore d'essi, chiunche si fusse, o non si truovano,
e sotto il nome di messer Giovambatista d'Oria genovese gli fece stam-
pare e indirizzare a Ippolito cardinal de' Medici; il qual messer
Giovambatista io conobbi scolare nello Studio di Padova e, per quanto
poteva giudicare io, egli era huomo da potergli tradurre da sé.
Conte. A che serviva al Trissino tradurre e fare stampare quell'o-
pera?


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