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Tommaso d'Aquino - De unitate intellectus » Varchi, Benedetto L'Hercolano - p. 741

Varchi, Benedetto

L'Hercolano


Il medesimo:
Che nostra vi<s>ta in lui non può fermarse.
E questo si deve intendere sempre nel numero del meno e non mai
in quello del più, il quale finisce sempre (come s'è detto) in i. Il Petrarca
ne' Trionfi:
Non con altro romor di petto dansi
Duo' leon feri, o due folgori ardenti,
Ch'a cielo, e terra, e mar dar luogo fansi,

cioè 'si fanno', o 'fanno o a sé o a loro'; nè vi maravigliate che io vada
così minutamente e particolarmente distendendomi, perché la materia
degli affissi (come vi dissi nel principio) è non meno utile che difficile.
E, per tacere degli altri minori, messer Iacopo Sannazzaro, huomo
di tanto ingegno, dottrina e giudizio, si lasciò alcuna volta, o sforzato
dalle rime sdrucciole le quali nel vero sono malagevolissime o per altra
cagione, trasportare troppo nella sua Arcadia, e quando tra l'altre disse
una volta:
Due tortorelle vidi il nido farnosi,
non so vedere in che modo egli cotale affisso si componesse e più per
discrezione intendo quello che significar voglia che per regola.
Ma, tornando al ragionar nostro, restanci queste due particelle ci
e vi, le quali sono del numero del più e si pongono così per lo dativo
come per l'accusativo e non hanno tra loro altra differenza se non che ci,
più de' prosatori che de' poeti, è prima persona e significa o 'a noi' nel


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