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Averroes - In De generatione animalium » Varchi, Benedetto L'Hercolano - p. 762

Varchi, Benedetto

L'Hercolano


Conte. In cotesti luoghi a me pare che la ne stia molto oziosa-
mente e non operi cosa nessuna, e in somma non serva ad altro che a far
la rima.
Varchi. Egli non vi par male; voglio nondimeno che sappiate che
in quei tempi si favellava così, anzi si diceva ancora mene, tene, per 'me'
e 'te', sine per 'sì' affermativa, tene per 'te' o 'togli', e molti altri così
fatti, purché la sillaba dietro alla quale s'aggiugneva cotal particella
havesse l'accento acuto sopra sé, come fene, in luogo di 'fé' o di 'fece',
perdene, in vece di 'perdé' o 'perdette', come si può vedere nell'antiche
scritture e nelle moderne lingue, perché ancora hoggi sono in Firenze
nelle bocche de' fanciugli e di cotali grossolani che fanciullescamente
favellano queste e altre somiglianti parole; ma perché elle già furono dal
Petrarca e hoggi sono rifiutate dall'uso de' migliori, non è dubbio che si
debbono fuggire non solo nello scrivere, ma ancora nel favellare, quando
nuovo uso nolle introducesse. Ma quando la ne posta dietro a'
verbi riferisce le persone e i casi, e per conseguenza è veramente affisso,
ella riferisce alcuna volta il numero del meno e alcuna volta quello del
più, e in amendue riferisce tutti i generi e tutte le persone, ma nel singo-
lare riferisce solamente il genitivo e l'allativo, e nel plurale tutti e quattro
gli obliqui, come chi, parlando o d'un maschio, o d'una femmina, o
d'una cosa neutra, dicesse habbine o habbiatene discrezione, o vero
compassione, ciò è 'di lui', o 'di lei', o 'di quella tal cosa' in genere neu-
tro; e il Petrarca disse:
Qual colpo è da sprezzare e qual d'haverne
Fede ch'al destinato segno tocchi.


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