BIVIO: Biblioteca Virtuale On-Line
Boccaccio, Giovanni - Decameron » Varchi, Benedetto L'Hercolano - p. 793

Varchi, Benedetto

L'Hercolano



Da chi si debbano imparare a favellare le lingue,
o dal volgo, o da' maestri, o dagli scrittori
Quesito ottavo


Varchi. Le parole di questa dimanda dimostrano apertamente che
voi intendete delle lingue, parte vive, cioè che si favellino naturalmente,
e parte nobili, cioè che habbiano scrittori famosi. Per dichiarazione
della quale vi dirò primieramente come tutte le lingue vive e nobili con-
sistono (come ne mostra Quintiliano) in quattro cose: nella ragione, nella
vetustà, o vero antichità, nell'autorità e nella consuetudine, o vero nell'u-
so. L'uso, per farci dalla principale e più importante, e ultimo in
numero ma primo in valore, è di due maniere, o del parlare o dello scri-
vere. L'uso del parlare d'alcuna lingua, ponghiamo per più chiarezza
della fiorentina, è anch'egli di due maniere, universale e particolare.
L'uso universale sono tutte le parole e tutti i modi di favellare che s'usa-
no da tutti coloro i quali un muro e una fossa serra, cioè che furono nati
e allevati dentro la città di Firenze e, se non vi nacquero, vi furono porta-
ti infanti (per mettere in consuetudine, o più tosto ritornare in uso,
questo vocabolo), cioè da piccolini e anzi che favellare sapessero.
L'uso particolare si divide in tre parti; percioché, lasciando stare l'infima
plebe e la feccia del popolazzo della quale non intendiamo di ragionare,
il parlare di coloro i quali hanno dato opera alla cognizione delle lettere,
aggiugnendo alla loro natìa o la lingua latina, o la greca, o amendune, è
alquanto diverso da quello di coloro i quali non pure non hanno apparato


pagina successiva »
 
p. 793