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Plinius Caecilius Secundus, Gaius - Epistulae » Varchi, Benedetto L'Hercolano - p. 896

Varchi, Benedetto

L'Hercolano


mo, e anco per avventura nella lingua toscana non si disconvengono
quanto nella latina; onde il Boccaccio medesimo ne pose alcuna volta
due l'uno dietro l'altro, come quando disse:
La donna udendo questo di colui,
Che ella più che altra cosa amava.

E chi sottilmente ricercasse, troverrebbe per avventura nelle prose
nostre quello che nelle greche avveniva e nelle latine, cioè che niuna
parte in esse si troverrebbe, la quale ad una qualche sorte e maniera di
versi accomodare non si potesse. Ma tempo è di passare homai
alla terza e ultima cosa, cioè alla dolcezza, della quale mi pare di
potermi spedire, e mi spedirò brevissimamente, dicendo che quanto la
lingua greca era più dolce della latina, tanto la volgare è più dolce della
greca. Che la greca fusse più dolce della latina non si tenzona;
e Quintiliano nel decimo libro n'assegna le ragioni, affermando ciò proce-
dere da tre cose, dalle lettere, da gli accenti e dalla copia delle parole;
onde conchiude così: Quare qui a Latinis exigit illam gratiam sermonis
Attici, det mihi in loquendo eandem iocunditatem et parem copiam
.
Che la volgare sia più dolce che la greca, la quale era dolcissima, si
pruova così: la dolcezza, della quale si ragiona, nasce primieramente
dalle lettere; le lettere vocali sono assai più dolci delle consonanti; le
parole toscane forniscono tutte, eccetto per, in, del e alcune altre pochis-
sime monosillabe, in alcuna delle lettere vocali; dunque la lingua volgare
è più dolce della greca, la quale ha infinite parole che finiscono in conso-
nanti; onde Quintiliano, volendo provare la lingua greca soprastare alla
latina di dolcezza disse, tra l'altre ragioni: nessuna parola greca fornisce


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