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Apollonius Rhodius - Argonautica » Cerretani, Bartolomeo Dialogo della mutatione di Firenze - p. 12

Cerretani, Bartolomeo

Dialogo della mutatione


GIO.: Voi durerete una gran fatica d'animo et non senza pericolo:
pure questo è l'uffitio vostro.
GIR.: Beati quelli e quali patiscono per la iustitia, perché Dio gli re-
tribuisce grandemente
.
GOV.: Andiancene qua in camera e staremo remoti dalli altri per in-
sino che l'hora della cena venga. Ma tu Girolamo e Lorenzo, che viaggio
è il vostro? Di Giovanni, sendo noi al servitio d'un principe medesimo,
m'è notissimo. Se vi è grato, ditelo.
GIR.: E' mi fia sempre grato dire il vero e compiacere li amici, ma-
xime che Giovanni anche mostra desiderarlo. Et a lui dicemo parte, e
come il giugno, avanti la venuta delli spagniuoli, che fu l'anno della no-
stra salute 1512, visto una mala dispositione in terra tra la civiltà fioren-
tina et una pexima in cielo tra' segni celesti, con cattivissi<mi> aspetti,
denuntianti alla nostra città di Firenze mali e rovine non piccole et spe-
tialmente per una figura fatta in Venegia della nostra città per maestro
Abra<m> giudeo, la quale per ogni verso portendeva male, di che non
era mancato e nuntii celesti e quali ci havevono avertiti con fulgori e
mostri et altri segni, e non sendo suto mai possibile investigare particu-
lar nessuno donde o sopra chi o per chi havessi a nascere tale accidente
et visto con quanta poca iustitia la città nostra viveva, el capo timido e le
membra paurose, solo ne restava una ferocia et populare tumulto et
che publicamente o privatamente ciascuno faceva quello li tornava bene,
e che da Dio si era hauto un principio d'un vivere publico e fare
una republica quasi divina, et che per mancamento di non molto inutili
membri di quel corpo non se li era mai dato perfetione, et che li errori
multiplicavono, sendosene fatti molti ne' passati tempi, dubitando del
giuditio di Dio, che ci pareva vederlo presso, et per non vedere la mala
sorte della patria deliberamo partirci, Lorenzo et io.
Et così facemo, che preso quello ci parve necessario, ce ne andamo a
l'eremo in Casentino, dove stemo dua giorni, pensando di trovare qual-
che quiete per rassettarci alquanto il confuso intelletto, il che non ci
venne fatto perché ci trovamo la discordia in supremo grado; la qual
cosa fuggimo andandocene alla Vernia, fra' quali frati non vi era una
gran pace. E però pigliamo la via verso Vinegia, nella quale stemo più
tempo, considerando non solo la magnificentia e meraviglia dello edifi-
tio, ma la quasi divina complessione di quella republica, cor una civilità
gravissima, ordinatissima et unitissima al farla magnifica e grande; e giu-
dichamo che questa era la causa del durare quel governo, et di essere
surti et usciti di tanti e sì orrendi pericoli che hanno recato questi 25
anni passati ne' quali l'Italia è suta preda di tante passate di barberi e
dove sono affogate e conquassate tutte le città italiche.
GIO.: Tu di' il vero, ma gl'hanno fatto ancor loro moltissimi errori, e


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