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Serafino Aquilano - Rime » Galilei, Galileo Il Saggiatore - p. 330

Galilei, Galileo

Il Saggiatore


che non sappiamo se sia in quel luogo e siamo certi che non è robba
ch'abbruci. E qui mi fa il Sarsi sovvenire del detto di quell'argu-
tissimo Poeta:
Per la spada d'Orlando, che non ànno
e forse non son anco per avere,
queste mazzate da ciechi si danno.

Ma è tempo che vegniamo alla seconda proposizione; anzi pure,
prima che vi passiamo, già che il Sarsi replica nel fine di questa
ch'io abbia constantemente negato che l'acqua si muova al moto del
vaso e che l'aria e gli altri corpi tenui aderiscano a' corpi lisci, re-
plichiamo noi ancora ch'ei non dice la verità, perché mai né il Sig.
Mario ned io abbiamo detta o scritta alcuna di queste cose, ma bene
il Sarsi, non trovando dove attaccarsi, si va fabbricando gli uncini
da per se stesso.
41. Passi ora V. S. Illustrissima alla seconda proposizione. Ait Ari-
stoteles<, motum causam esse caloris; quam propositionem omnes ita
explicant, non quasi motui tribuendus sit calor, ut effectus proprius et per se
(hic enim est acquisitio loci), sed quia, cum per localem motum corpora atte-
rantur, ex attritione autem calor excitetur, mediate saltem motus caloris causa
dicitur: neque est quod hac in re Aristotelem reprehendat Galilaeus, cum nihil
ipse adhuc afferat ab eiusdem dictis alienum. Dum vero ait praeterea, non quam-
cumque attritionem satis esse ad calorem producendum, sed illud etiam potis-
simum requiri, ut partes attritorum corporurn aliquae per attritionem deper-
dantur; hic plane totus suus est, nec quicquam ab alio mutuatur. Cur autem
haec partium consumptio ad calorem producendum requiritur? An quod ad eum-
dem calorem concipiendum rarescere corpora necesse sit, in omni vero rare-
factione comminui eadem corpora videantur ac minutissimae quaeque particulae
evolent? At rarefieri corpora possunt, nulla facta partium separatione ac proinde
neque consumptione. An ideo haec comminutio requiritur, ut prius particulae
illae, utpote calori concipiendo magis aptae, calefiant, hae vero postea reliquo
corpori calorem tribuant? Nequaquam: licet enim particulae illae, quo minu-
tiores fuerint, magis calori concipiendo aptae sint, ex quo fit ut saepe ex at-
tritione ferri excussus pulvisculus in ignem abeat, illae tamen, cum statim
evolent aut decidant, non poterunt reliquo corpori, cui non adhaerent,> calorem tribuere
.
Vuole il Sarsi nel primo ingresso di questa disputa concordare il
Sig. Mario ed Aristotile, e mostrar che ambedue àn pronunziato
l'istessa conclusione, mentre l'uno dice ch'il moto è causa di ca-
lore, e l'altro, che non il moto, ma lo stropicciamento gagliardo di
due corpi duri; e perché la proposizione del Sig. Mario è vera, né
ha bisogno di chiose, il Sarsi interpreta l'altra con dire, che se bene
il moto, come moto, non è cagione del caldo, ma l'attrizione, nul-
ladimeno, non si facendo tale attrizione senza moto, possiamo dire
che almanco secondariamente il moto sia causa. Ma se tale fu la sua
intenzione, perché non disse Aristotile l'attrizione? io non so vedere
perché, potendo uno dir bene assolutamente con una semplicissima
e propriissima parola, ei debba servirsi d'una impropria e bisognosa
di limitazioni ed in somma d'esser finalmente trasportata in un'altra
molto diversa. In oltre, posto che tale fusse il senso d'Aristotile, egli
però è differente da quello del Sig. Mario; perché ad Aristotile basta
qualunque confricazione di corpi, ben che tenui e sottili, e fino dell'aria
stessa; ma il Sig. Mario ricerca due corpi solidi, e stima che il vo-
lere assottigliare e tritar l'aria sia maggior perdimento di tempo
che quello di chi vuole (com'è in proverbio) pestar l'acqua nel mor-
taio. Io non son fuor d'opinione che possa esser che la proposizione


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