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Homerus - luogo non identificato » Galilei, Galileo Il Saggiatore - p. 233

Galilei, Galileo

Il Saggiatore


fusse quando le conversioni loro fussero state intorno al Sole, secondo
il sistema Copernicano; tuttavia ciò esser vero e manifesto al senso,
ho dimostrato io, e fattolo con perfetto telescopio toccar con mano
a chiunque l'ha voluto vedere. Quanto poi all'ipotesi Copernicana,
quando per beneficio di noi Cattolici da più sovrana sapienza non
fussimo stati tolti d'errore ed illuminata la nostra cecità, non credo
che tal grazia e beneficio si fusse potuto ottenere dalle ragioni ed
esperienze poste da Ticone. Essendo, dunque, sicuramente falsi li due
sistemi, e nullo quello di Ticone, non dovrebbe il Sarsi riprendermi
se con Seneca desidero la vera costituzion dell'universo. E ben che
la domanda sia grande e da me molto bramata, non però tra rama-
richi e lagrime deploro, come scrive il Sarsi, la miseria e calamità
di questo secolo, né pur si trova minimo vestigio di tali lamenti in
tutta la scrittura del Sig. Mario; ma il Sarsi, bisognoso d'adombrare
e dar appoggio a qualche suo pensiero ch'ei desiderava di spiegare,
lo va da se stesso preparando, e somministrandosi quegli attacchi
che da altri non gli sono stati porti. E quando pur io deplorassi
questo nostro infortunio, io non veggo quanto acconciamente possa
dire il Sarsi, indarno essere sparse le mie querele, non avendo io poi
modo né facoltà di tor via tal miseria, perché a me pare che ap-
punto per questo avrei causa di querelarmi, ed all'incontro le que-
rimonie allora non ci avrebbon luogo, quando io potessi tor via l'in-
fortunio.
7. Ma legga ormai V. S. Illustrissima. Et quoniam hoc loco <atque hoc ad disputationem ingressu confutanda ea mihi
sunt quae minoris ponderis videntur, illud ab homine perhumano, qualem illum
omnes norunt, expectassem profecto nunquam, ut, vel ipso Catone severior, lepores
quosdam ac sales, apposite a nobis inter dicendum usurpatos, fastidiose adeo
aversaretur, ut irrideret potius, ac diceret naturam poëticis non delectari. At
ego, proh, quantum ab hac opinione distabam! naturam poëtriam ad hanc usque
diem existimavi. Illa certe vix unquam poma fructusque ullos parit, quorum
flores, veluti ludibunda, non praemittat. Galilaeum vero quis unquam adeo
durum existimasset, ut a severioribus negotiis festiva aliqua eorum condimenta
longe ableganda censeret? Hoc enim Stoici potius est, quam Academici. Attamen
iure is quidem nos arguat, si gravissimas quaestiones iocis ac salibus eludere,
potius quam explicare, tentaremus; at vero, rationum inter gravissimarum pon-
dera, lepide aliquando ac salse iocari quis vetat? Vetat enimvero Academicus.
Non paremus. Et si illi nostra haec urbanitas non sapit? Plures habemus, non
minus eruditos, quos delectat. Neque enim hic fuit sensus virorum, et genere et
doctrina clarissimorum, qui nostrae disputationi interfuere, quibus sapienter
omnino factum visum est, ut cometes, triste infaustumque vulgo portentum, pla-
cido aliquo verborum lenimento tractaretur, ac prope mitigaretur. Sed haec levia
sunt, inquis. Ita est;> ac
proinde leviter diluenda
.
Da quanto qui è scritto in poche parole sbrigandomi, dico che né
il Sig. Mario né io siamo così austeri, che gli scherzi e le soavità poe-
tiche ci abbiano a far nausea: di che ci sieno testimoni l'altre vaghezze
interserite molto leggiadramente dal P. Grassi nella sua scrittura,
delle quali il Sig. Mario non ha pur mosso parola per tassarle; anzi con
gran gusto si son letti i natali, la cuna, le abitazioni, i funerali della
cometa, e l'essersi accesa per far lume all'abboccamento e cena del
Sole e di Mercurio; né pur ci ha dato fastidio che i lumi fussero ac-
cesi 20 giorni dopo cena, né meno il sapere che dov'è il Sole, le can-
dele son superflue ed inutili, e ch'egli non cena, ma desina solamente,
cioè mangia di giorno, e non di notte, la quale stagione gli è del
tutto ignota: tutte queste cose senza veruno scrupolo si sono trapas-


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