BIVIO: Biblioteca Virtuale On-Line
Lucretius Carus, Titus - De rerum natura » Lando, Ortensio Paradossi - p. 183

Lando, Ortensio

Paradossi, cioè sentenze fuori del comun parere



XVII
Che mala cosa non sia l'esser ferito e battuto
Paradosso XVII


Non so veramente donde si nasca che noi abbiamo e cuorpi
nostri sì teneri e dilicati e gli animi poi assai più che diaspro duri
e più che pietra insensibili, né vego in alcun modo per che siano
da temere tanto le stoccate, con ciò sia che le corazze passar pos-
sino, ma non già gli animi forti offendere o molestare, e niuno sia
mai se non da se stesso veramente offeso. In vero, quelle sono le
percosse che fortemente dogliono, e accerbamente gli animi nostri
tormentano. Ridomi adunque io meritamente spesse fiate di alcu-
ni, li quali si maravigliano e dolorosamente piangono se l'amico, o
il parente loro, per molte ferite muoia, né avertiscono che una so-
la sia la mortale, perciò che non possono cadere in un corpo mol-
te piaghe mortali. Se una ve n'è, sarà di necessità che l'altre siano
o leggieri o almeno non sieno cagion di morte. Venti tre ferite eb-
be Cesare, ma sol una ve ne fu cagione ch'egli i suoi giorni
terminasse. Ma Dio volesse che a molti, insieme con e membri de-
bilitati e mozzi, fusse ancora indebilita la superbia, e refredato l'or-
goglio. Canta il Profeta: «Humiliasti superbum sicut vulneratum»,
hai umiliato il superbo, come umiliato si vede l'impiagato e ben
battuto. Io per me, tutte le volte ch'io vego alcuno a cui sia moz-
zo il naso, tagliata la fronte o sfregiate le guancie, non considro gia-
mai la ferita, ma sì ben la cagione perché alcuno ferito sia. Viddi
già nella faccia di alcuni valorosi cavaglieri non so che fregi, li qua-
li, perché procedevano da onesta radice, mi pareva di vedere tan-
ti rubini, o tanti diamanti; così anche, n'ho veduto molti feriti per


pagina successiva »
 
p. 183