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Lucretius Carus, Titus - De rerum natura » Lando, Ortensio Paradossi - p. 244

Lando, Ortensio

Paradossi, cioè sentenze fuori del comun parere


alcuno di questi spensierati bocacceschi) che con maggior soffe-
renza sostenuto avrebbe d'esser trafitto da mosche, da taffani e da
zenzare che di continovar un sol giorno in sì stomacosa lezione.
Pogniamo or mano alla Fiammetta, ove sta sempre fitto in un me-
desimo affetto di gelosia riempiendo le carte di lamenti e sospiri.
L'Ameto suo tutto si vede pieno di affettazione, e quasi ogni con-
cetto esplica co' partecipii, cosa nel vero troppo affettata. Il Cor-
baccio
non contiene altro che una sfrenata e rabiosa maledicenza
contra d'una gentil e onesta vedova, che per disio d'onore com-
piacer non volle mai a' suoi libidinosi desiderii. Ma per che molti
facilmente condescendeno a confessare che tutte l'opere sue
non vaglian nulla fuori che il Decamerone, qual essaltano e ma-
gnificano sopra tutti e libri in qual si voglia lingua scritti, chia-
mandolo un moderno Cicerone, questo adunque essaminaremo noi
alquanto, non però con molta diligenza per non parere contra di
lui appassionati. Primieramente esso (che n'è l'autore) meno di tut-
te l'altre sue composizioni lo istimò, donde come ho già detto tut-
tavia mi confermo ch'egli scrivesse a caso, né dramma di giudizio
avesse, tanto istimando quel che tutti li giudiziosi sprezzarno, e avi-
lito sopra modo quel che noi poscia abbiamo tenuto caro. Ma cer-
ta cosa è ch'esso con ragion si mosse a farne poca stima, e noi mol-
to scioccamente facciamo tenendolo in tanta reputazione, con ciò
sia che la materia nella quale si esercita si vega essere leggiera, va-
na e indegna d'un intelletto nobile, si conosca esser di mal essem-
pio alle oneste fanciulle, alle caste matrone e alli accostumati gio-
vani, dia ancora chiaro indizio di spregiare la santa religione. Di-
temi per cortesia, o bocacceschi, cercò egli altro nella novella di
Gianotto Giudeo che di puorci in odio la santissima romana cor-
te, sempre chiamando la vita de' preti or scelerata, or lorda, non
ponendo mente alla sua più d'ogn'altra brutta? Che pensò egli
quando scrisse di frate Rinaldo, dell'agnolo Gabriele e di
don Felice, se non di metterci in disgrazia e frati, che pur sono
la siepe e il bastione contra degli eretici? e infelici noi, se essi con
le loro buone dottrine, e santi essempii, non ci avessero diffesi dal-
le pestilenti eresie. Nella novella di ser Ciapelletto a che altro at-
tese che a levarci dal cuore la riverenza e divozione de' santi? Che


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