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Aristoteles - Physica » Lando, Ortensio Paradossi - p. 116

Lando, Ortensio

Paradossi, cioè sentenze fuori del comun parere


l'intelletto nostro capire e la lingua possa isprimere. Veggio io il ce-
co dotato sempre di maggior memoria per non essere dalla luce de
gli occhi in varie parti disviato, la quale, di quanta impor-
tanza però sia, di qui lo pò bene ciascuno ottimamente considera-
re, poi che M. Tullio nel suo Oratore la chiama tesoro, e i Greci
la fecero madre della sapienza, oltre che tanti altri per godere di sì
nobil senso, conoscendosi della natural memoria privati, l'artifizial
s'imaginarno con spesa di preziosi olii, con varie lavande, e con ce-
roti, e polvere di lontan paese portate. Trovasi ancora essere il ce-
co di molto miglior apprensiva, né ciò maraviglia parer ci deve,
avendo egli le potenze dell'anima meglio che l'illuminato raccolte
e unite. È privo similmente di vedere tanti brutti spettacoli quanti
oggidì per ciascadun luogo si vegono: non rincontra quando va per
le strade e mostruosi scrignuti, gli abominevoli nani, e ridicoli goz-
zuti, e tanti altri contrafatti corpi, quai soleva Ottaviano Augusto
chiamare ludibri e scherni della natura; non vede gli orribili Etio-
pi, non gli miserabili paralitici, non e schifevoli lazzarosi, non tan-
ti idropici, iterici, atratti, sfregiati, spelati, rognosi, cancheriti, got-
tosi, franciosati, e altri simili. Oh quanti benefici si riportano dal-
l'esser ceco, e danno veruno mai dalla cecità n'è resultato. Ella non
proibisce che contemplare non possiamo a nostro bene placito le
celestiali bellezze, anzi se diligentemente avertir ci vorremo, essa è
in buona parte cagione di sì bella e alta contemplazione.
Democrito essendo di acutissimo vedere, si trasse gli occhi dal ca-


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