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Plato - Respublica » Lando, Ortensio Paradossi - p. 119

Lando, Ortensio

Paradossi, cioè sentenze fuori del comun parere


no del prezioso sangue di Giesù; né vidde a Naapoli le gran squa-
dre de marani, le innumerabili torme de ruffiani, non vidde una
infinita copia de boriosi cavaglieri che tutto il giorno a guisa de
fottiventi con gran strazio di chi li segue vanno su e giù con la ba-
chettina in mano; non vidde in Sicillia que' mangia catenacci che
per ogni picciola cosa contrafanno il viso di Marte quando egli è
più forte adirato, né tante donne in viso mirò disposte per piccio-
lo prezio a far altrui di se stesse intiera copia. Che più parole? Sì
dolcemente mi favellò il buon ceco, che mi fece venir voglia di ac-
cecare, essendomi spesso di mala maniera anch'io conturbato per
veder in Vinegia i nuvoli de mariuoli. In effetto credami chi
è saggio, che l'è dolor senza paragone a veder in viso l'indiscreto
padovano, il bestiai vicentino, il licenzioso trivigiano, il furioso ve-
ronese, il tenace bresciano, e l'inumano bergamasco. Veramente
egli è di necessità che l'illuminato vega infinite cose da far per isto-
macaggine uscir le pietre de' muri. Mi ramento aver letto che in-
contrandosi a caso un santo uomo novellamente accecato con Ar-
rio principe de' eretici, duolsesi della sopragiunta cecità, a cui il
sant'uomo rispose: «Non accade Arrio che te ne doglia e incresca,
ringraziandone io di buon cuore Iddio, poscia che fatto ceco più
non ti veggio eretico perfido e disleale». Sono per certo gli occhi
nostri troppo male bestie, per la qual cosa, narra Giobbe d'aver
fatto co' suoi occhi patto
, che d'una sol donna contenti, a niuna al-
tra pensassero. E il Profeta grandimenti si duole che gli occhi l'a-


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