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Ripa, Cesare

Iconologia overo Descrittione d'Imagini delle Virtù, Vitii, Affetti, Passioni humane, Corpi celesti, Mondo e sue parti [1611]


proverbio che dice   Mendacem oportet esse memorem.
Il fascetto di paglia accesa altro non significa se non che, sì come il
detto fuoco presto s'appiccia et presto s'ammorza, così la bugia presto
nasce et presto muore.
L'esser zoppa dà notizia di quel che si dice trivialmente che la bugia ha
le gambe corte.

Buio

Giovanetto moro, vestito d'azurro stellato d'oro et sopra
il capo haverà un Gufo, nella destra mano un velo nero et con la si-
nistra terrà un scudo di color d'oro, in mezo del quale vi sia depinta una
targa con motto che dice:   Audendi.

Calamità.

Donna mesta, vestita di nero et mal' in arnase, mostrandosi de-
bole si regga sopra una canna, tenendo in mano un mazzo di spi-
ghe di grano rotte e fracassate come quelle che vengono abbattute dal-
la tempesta.
Il vestimento nero significa malinconia, ch'è compagna perpetua del-
la calamità.
S'appoggia alla canna, perché non si truova maggior calamità che
quella di colui che sta in pericolo di ruinare, il quale si conduce molte vol-
te a desiderare la morte per rimedio et la canna per essere vacua et poco
densa, facilmente si spezza al sopravenimento del peso, come facilmente
mancano le speranze di questo mondo, perché ogni sorte di vento ancor-
ché debole è bastante a mandare in ruina et la fabrica et li fondamenti
delle nostre speranze et per questo si domanda calamità da i calami del-
le canne.
Il mazzo del grano acconcio, come detto habbiamo, significa la per-
ditione et ruina delle biade, che è il principio della nostra calamità.

Calamità o Miseria.

Donna asciuta, tutta piena di lepra con pochissimi panni che
le coprono le parti vergognose et con alcuni cagnoli che li stia-
no lambendo le piaghe delle gambe, terrà le mani in atto di dimandare
elemosina.

Calamità et Miseria.

Donna mesta, ignuda, a sedere sopra un fascio di canne rotte e
spezzate in molti pezzi in mezo a un canneto.
Si dipinge mesta, percioché la miseria rende l'huomo mesto et ancor-
ché la Fortuna se gli mostri alquanto benigna, nondimeno non si rallegra
mai, come dimostra Seneca in Thyeste:
Proprium hoc miseros sequitur vitium
Rideat felix Fortuna licet
Numquam rebus credere laetis
Tamen afflictos gaudere piget.


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