Guiducci, Mario
Lettera di Mario Guiducci al P. Tarquinio Galluzzi (20 giugno 1620)
stro
titolo d'ignorante di loica. Ecco le mie parole precise: «Al poter con sicu-
rezza
chiamar tal moto per cerchio massimo, mancan di gran punti da dimostrare,
i quali tralasciati danno indizio d'imperfetto loico
», e n'assegno la cagione; e quivi
principalmente si parla con Ticon Brae. Alla f. 24, si favella onora-
tissimamente
de' Matematici del Collegio, dicendo che, dove prima di saper che
l'argomento preso dal poco accrescimento della cometa riguardata col telescopio,
per provarla lontanissima dalla Terra, fosse di que' dotti ed elevati ingegni, lo
stimai di poco o niun valore, così, sentendo il nome onde procedeva, cangiai pen-
siero,
e titubai lungamente sopra le ragioni con le quali il più volte mentovato
Accademico m'aveva persuaso in contrario. Alla f. 18, pur citata,
io non dico assolutamente, il professore aver giurato fedeltà a Ticone, ma solo
parermi ch'e' si sottoscriva a' detti di lui. Alla f. 38, dico, indurmi
a credere che il Matematico prefato abbia ricevuto la medesima ipotesi di Ti-
cone,
dal vedere quant'egli in tutta quella scrittura consuoni e concordi con la
posizione e con l'altre immaginazioni Ticoniche. Questi sono i luoghi notati e
citati dal Sarsi, ne' quali cotanto dic'egli esser stato vilipeso e oltraggiato il
Maestro. I quali essendo stati molto diligentemente veduti e ben considerati da
uomini dotti e religiosi, non sono stati notati di mordacità, né s'è ravvisato ove
consistesse la pretesa puntura, se già il solo aver dissentito dal P. Grasso non fosse
tenuta per onta e ingiuria; il che assolutamente da' Padri si nega. Di ciò mi fa
indubitata fede V. P., la quale, molto avanti che io facessi quel ragionamento
nell'Accademia, mi significò che, essendo libero a ciascheduno in somiglianti ma-
terie
d'aderire a questa o a quella sentenza, niun uomo prudente avrebbe in
mala parte o sinistramente ricevuto, che io avessi dissentito al Problema, purché
non si fossero ecceduti i termini del disputare: il qual ricordo da me puntual-
mente
osservato, mi rende sicuro che non odiose, ma uffiziose e care, sieno state
a cotesti Padri le mie contraddizioni; quali io tanto più volentieri ho fatte, quanto
io conosceva ch'elle potevan loro servir per un poco di lume a determinar la
verità, che in quel caso cotanto m'era rimasa dubbiosa e in ambiguo. Ma il
Sarsi, non che prender in grado quel po' di luce che io offeriva, ha più tosto
procacciato d'oscurarla e di spegnerla, acciò altri non se ne vaglia, opponen-
dole
contro diverse accuse e imposture, e in diversi modi irritandomi contro i let-
tori.
Di ciò non mi lascia mentire quella sua doglienza, che io, a f. 34,
sfatando l'arguzie e motti del suo Maestro, abbia detto, la natura non dilettarsi
di poesie; poiché chiunque vorrà riconoscere 'l luogo citato, rimarrà cotanto stu-
pito
della franchezza e ardir di cotesto giovane in profferir cosa la quale così
presta aveva la riprova, che non avrà più maraviglia d'altre imposture. Legga,
in cortesia, V. P. tutta quella f. 34 del mio Discorso,
e se in essa ha pur una parola la quale, anche stiracchiatamente, possa inter-
pretarsi
detta per l'autor del Problema, io mi sottoscrivo a quanto è stato detto
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