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Biblia, Act » Livius, Titus - Ab Urbe condita » Guiducci, Mario Mario Guiducci a Tarquinio Galluzzi - p. 192

Guiducci, Mario

Lettera di Mario Guiducci al P. Tarquinio Galluzzi (20 giugno 1620)


dal Sarsi contro di me in quella sua Libra. Aveva detto Ticone (non trovando
forse modo di salvar l'irregolarità del moto delle comete), elle esser verisimil-
mente pianeti imperfetti e quasi scimie de' veri, e perciò, sforzandosi elle d'imi-
tare 'l moto de' pianeti, non in tutto conseguire i lor movimenti, ma esser in
ogni modo prole celeste. Contro di questo pensiero scrivo io queste puntuali pa-
role: «Il dir con Ticone, che come a stelle imperfette, ma però, benché caduche, d'in-
dole ad ogni modo e costumi celesti, basta una tal quale condizion divina, ha tanto
più della piacevolezza poetica che della fermezza e severità filosofica, che non
merta porvisi considerazione alcuna, perché la natura non si diletta di poesie
».
Né con più verità che le cose predette m'addossa il Sarsi dottrine e con-
clusioni che io non ho tenute, né tengo vere, per aver poi campo di convincerle,
e crescer in questa guisa il volume. Quanto briga egli a provar che tra gli oggetti
i quali ci son visibili con l'occhiale, ed i medesimi senza di quello invisibili, non
caschi accrescimento infinito? Ma quando ho io affermato il contrario? Aveva
il P. Grassi nel suo Problema affermato, le stelle fisse, come immensamente di-
stanti da noi, non ricever, rimirate col telescopio, ricrescimento veruno: io dal-
l'altro canto dissi che elle ci crescevan con la stessa proporzione che gli oggetti
vicini, e per prova della grandezza di tal aumento soggiunsi che, vedendo noi
chiaramente con l'occhiale i pianeti Medicei e altre stelle che indarno si rimiran
con l'occhio semplice, non sapeva perché a quell'autore o ad altri dovesse cotal
accrescimento parere 'nsensibile, che più tosto sembrava infinito. Doveva pure il
Sarsi esser chiaro che io non ebbi in quel discorso sì fatta credenza dello 'nfi-
nito, avendo io più d'una volta pronunziato che gl'intervalli e oggetti nel cielo
ci si mostran maggiori con la medesima proporzione che si facciano in Terra
tutti gli altri oggetti in queste picciole distanze, la qual proporzione non può esser
se non finita.
Non è dissomigliante da tal artifizio il dire che io affermi, la cometa non
esser cosa reale, ma solo apparente, e che io dica, la medesima muoversi di moto
retto e perpendicolare alla Terra: le quali dua proposizioni io solo dubitativa-
mente proposi, avendo detto, quanto alla prima, alla f. 22, che «se
nelle refrazioni, riflessioni, immagini, apparenze ed illusioni non ha forza la pa-
ralasse per determinar di lor lontananza, poiché alla mutazion di luogo del riguar-
dante anch'esse si mutano, credeva che la parallasse non fosse veramente per aver
efficacia nelle comete, se prima non veniva determinato ch'elle non fossero di queste
cotali reflessioni di lume, ma oggetti uni, fissi, reali e permanenti
»; e quivi seguito
a mostrar la convenienza e conformità tra que' simulacri e le comete, lasciando
poi a que' virtuosi ascoltanti il risolversi all'una o all'altra affermativa. Nè più
di ciò affermo il movimento retto e perpendicolare della cometa alla superficie
terrena, dicendo solamente, con tal moto sfuggirsi e spianarsi di molti intoppi,
i quali a chi suppone quell'orbe cometario di Ticone s'attraversan a ogni passo.


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