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Boccaccio, Giovanni - Decameron » Varchi, Benedetto Lezzione delle arti - p. 11

Varchi, Benedetto

Lezzione della maggioranza delle arti



Proemio

Tutte le cose di tutto l'universo, il quale, abbracciando tutti i cieli e tutti gli ele-
menti, comprende in sé e contiene non solamente tutto quello che era, ma eziandio
tutto quello che poteva essere, in guisa che fuora di lui non pure non rimase cosa
nessuna, ma né luogo ancora né voto, sono, degnissimo Consolo, onoratissimi Acca-
demici e voi tutti Uditori nobilissimi, o eterne o non eterne. L'eterne, favellando
aristotelicamente, sono quelle le quali, non devendo finir mai, mai ancora non co-
minciarono, e per conseguenza non ebbero cagione efficiente, cioè alcuno che le
facesse: e queste si chiamano celesti, divine et immortali. Le non eterne sono quelle
le quali, devendo avere fine qualche volta, ebbero ancora qualche volta principio, e
per conseguenza cagione efficiente, cioè alcuno che le facesse: e queste sono di due
maniere, perciocché alcune furono prodotte da Dio mediante la natura, e queste si
chiamano naturali, umane e cadevoli; et alcune furono fatte dagli uomini mediante
l'arte, e queste si chiamano artifiziate o vero manuali. Delle divine, le quali sono tutte
quelle che si ritruovano dall'elemento del fuoco in su, tratta e ragiona il metafisico,
cioè il filosofo sopranaturale. Dell'umane, le quali sono tutte quelle che si ritruovano
dal cielo della luna in giù, ragiona e tratta il fisico, cioè il filosofo naturale.
Dell'artifiziali, le quali sono più e diverse, trattano e ragionano più e diversi artefici;
e queste, se bene sono assai meno degne delle naturali, come le naturali sono infini-
tamente meno perfette delle divine, v'arrecano però non solamente molti e grandis-
simi piaceri, ma molte e grandissime utilità alla vita mortale, la quale senza l'arti non
pure non si potrebbe vivere commodamente, ma né vivere ancora; laonde di
maravigliosi pregi et eccellentissimi onori furono dagli antichi riputati degnissimi,
anzi tenuti per iddii tutti coloro che d'esse furono ritrovatori. E noi per certo, se non
fussimo ingrati verso quegli che n'hanno così altamente beneficato (della qual cosa
Plinio con giustissima cagione agramente ne riprende), tanto più lodaremmo et
onoraremmo ciascuno, quanto fu o più nobile la sua arte o più nobilmente esercitata
da lui. Ma perché il conoscere questa nobiltà non è cosa agevole, et ognuno volentie-
ri si lascia ingannare da sé medesimo, perciò avevamo noi pensato di volerne favellare,
oggi sono otto giorni, dietro la sposizione del sonetto di Michelagnolo, tutto quello
che da diversi scrittori in diversi tempi n'avevamo apparato. Ma poscia che al magni-
fico e prudentissimo Consolo nostro parve e piacque che ne favellassimo di per sé, in
una lezzione separata, disputaremo oggi, allargandoci alquanto più che non pensa-
vamo di dover fare, queste tre quistioni ordinatamente: la prima, qual sia la più de-
gna di tutte l'arti; la seconda, qual sia più nobile, o la pittura o la scultura; la terza et
ultima, in quali cose siano o somiglianti o dissomiglianti i poeti et i dipintori; ciascu-
na delle quali, come è di non minore utile che piacere, così è ancora di non minore
fatica che dottrina.
Ma perché in ciascuna disputa si debbe la prima cosa, per fuggire l'equivocazione
e scambiamento dei nomi, dichiarare i termini principali, devemo sapere che, sì come
questo nome 'scienza' comprende, largamente preso, ancora tutte l'arti, così questo


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