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Augustinus, Aurelius - De civitate Dei » Della Casa, Giovanni Orazione a Carlo V - p. 490

Della Casa, Giovanni

Orazione scritta a Carlo V Imperatore intorno alla restituzione della città di Piacenza


suoi regali costumi la fecero degna figliuola di Carlo Quinto im-
peradore, non vogliate far voi che tanta felicità e bontà siano ora in
doglioso stato, quello che il cielo le concedette e quello che la sua
virtù le aggiunse togliendole. Assai la fece aspra fortuna e crudele
delle sue prime nozze sconsolata e dolente; non la faccia ora il suo
generosissimo padre delle seconde misera e scontenta. Ella non
puote in alcun modo essere infelice essendo vostra figliuola; ma
come può ella senza mortal dolore veder colui, cui ella sì affettuo-
samente come suo e come da voi datole ama, caduto in disgrazia
di Vostra Maestà vivere in doglia ed in essilio? Ma, se ella pure di-
ponesse l'animo di ardente mogliera, come può ella diporre quello
di tenera madre? ed il suo doppio parto sopra ogni creata cosa va-
ghissimo e dilicato ed amabile non amare tenerissimamente? Il
quale certo di nulla v'offese già mai: o, se l'altrui nome all'uno de'
nobili gemelli nuoce cotanto, giovi almeno all'altro in parte il vo-
stro. Questi le tenere braccia ed innocenti distende verso Vostra
Maestà timido e lagrimoso, e con la lingua ancora non ferma mercé
le chiede: per ciò che le prime novelle, che il suo puerile animo ha
potuto per le orecchie ricevere, sono state morte e sangue ed es-
silio; ed i primi vestimenti, co' quali egli ha dopo le fasce ricoperto
le sue picciole membra, sono stati bruni e di duolo; e le feste e le
carezze, che egli ha primieramente dalla sconsolata madre ricevute,
sono state lagrime e singhiozzi e pietoso pianto e dirotto. Questi
adunque al suo avolo chiede misericordia e mercé; ed Italia al suo
signore chiama pace e quiete; e l'afflitta Cristianità di riposo e di
concordia il suo magnanimo prencipe priega e grava. E io, da
celato divino spirito commosso, oltra quello ch'ai mio stato si
converrebbe fatto ardito e presontuoso, la sua antica magnanimità
a Carlo Quinto richieggo, e la sua carità usata gli addimando.
La divina bontà guardò il vostro vittorioso essercito da quelle
mortali seti affricane e dievvi che voi conquistaste quel regno in
si pochi giorni a ciò che voi, di tanto dono conoscente, la sua santa
fede poteste difendere ed ampliare e non perché voi la misera
Cristianità tutta piagata e monca e sanguinosa, quando ella le sue


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