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Galenus, Claudius (Pseudo) - De ordine utriusque ordinis » Guicciardini, Francesco Le cose fiorentine - p. 91

Guicciardini, Francesco

Le cose fiorentine


Faceva in questo mezo guerra Gian Galeazo al Signore di Verona, et e' Fio-
rentini mandorono oratori a Milano per tractare accordo tra loro, quali trovorono
che già l'haveva acquistata. Et perchè intesono da lui che Gian Azo voleva venire
con compagnia di gente in Thoscana, cominciandosi a dubitare di lui, maxime
che e' Sanesi gl'havevano mandato oratori, per consiglo di messer Giovanni de'
Ricci si feciono Dieci di Balia et si actese alle provisione. Venne pocho poi, socto
nome di compagnia, Gian Azo con millecinquecento lancie in quello di Mo-
dona, mandato in facto dal conte di Virtù per turbare le cose di Bologna,
ma e' Fiorentini vi mandorono trecento lancie et cinquecento balestrieri, et lui
pocho poi se ne andò alla impresa di Padova. Nel medesimo anno certe com-
pagnie feciono ricomperare e' Sanesi, Pisani et Lucchesi, con grande querela
de' Sanesi, che credevano essere opera de' Fiorentini; ma anche loro pocho
poi si ricomperorono.
Successe l'anno 1388 che Giovanni Aguto con certe compagnie, nelle
quali era Carlo di messer Bernabò et Antonio della Scala, vennono in su' con-
fini de' Sanesi, con le quali e' Fiorentini feciono certe conventione. Però e'
Sanesi, insospectiti, mandorono imbasciadori a Firenze, dove si tractò di
adaptare le differentie loro, maxime di Montepulciano, et niente si concluse es-
sendo in Firenze varii e' pareri, et allhora, come dice Leonardo, o l'anno se-
quente, come dice Buoninsegni, e' Montepulcianesi si dectono, faccendosi
scrivere in Cammera. Et dice Buoninsegni che si prese per partito soldare
messer Giovanni Aguto con mille lancie. Et el conte, querelandosi de' Fio-
rentini per causa di Carlo di Bernabò et di Antonio della Scala, cacciò del suo
dominio e' Fiorentini, donde pensandosi in Firenze a piglare l'arme, vi venne
messer Piero Gambacorti et, introdocto, parlò così:
«Io mi rendo certo che questa degnissima Republica, secondo l'anticho
instituto suo, desideri al presente la pace, et che tucti gli apparati che la fa
di guerra siano a fine di conservare la quiete et sicurtà sua. Et però, presup-
ponendo havergli a essere grata ogni praticha di vera pace, sono venuto nella
vostra cictà, persuadendomi anchora che forse nessuno potrebbe in questo
essere udito da voi più volentieri di me. Così mi fa credere la anticha obser-
vantia che sempre la casa nostra et io habbiamo havuta a questa Republica,
così mi decta la ragione, perchè quale instrumento può bavere più fede a
tractare pace che quello che trahe fructo della pace et, pel contrario, riceve-
rebbe danno della guerra? Considerate se è a proposito di Pisa et della aucto-
rità che io ho in quella cictà, che in Thoscana venghino nuove turbatione, et
se io, che sono amico vostro et del conte di Virtù et desideroso di conservare

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