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Aristoteles - De partibus animalium » Varchi, Benedetto Lezioni sul Dante - p. 486

Varchi, Benedetto

Lezioni sul Dante e prose varie


pra naturale, o può o debbe a questa preporsi? Di qual
cognizione o maggiore diletto trarre, o più certo pro-
fitto cavare potemo che di quella del cielo? Qual cosa
si può mirare più bella del sole, quale più meravigliosa
della luna e delle altre cinque, le quali, tuttoché non
errino mai, furono però chiamate nella lingua greca
pianeti, cioè erranti? Tutte le nobiltà, tutte le perfe-
zioni che mai furono e tutte quelle che mai saranno in
questo mondo inferiore e corrottibile, poste in un luogo,
non possono né agguagliarsi ancora in menomissima
parte alla minore stella del fermamento, il quale n'ha
se non infinite, certamente innumerabili. O come è vero
che i cieli narrano la gloria di Dio! Quanta lode meri-
tarono i primi contemplatori delle cose celesti, quante
grazie, quanti onori e quanto grandi deveno lor ren-
dere tutti coloro i quali, sappiendo che l'uomo non è
altro che l'anima umana, e che l'anima umana ha
l'origine sua dal cielo, cercano, con tai penne, di las-
suso rivolare onde da principio discesero? Qual gioia,
qual contento, qual perfezione o felicità può trovarsi o
maggiore o più vera che, posto in non cale tutte quante
le cose mortali, e spogliatosi quasi la mortalità,
Volare al ciel nella terrena soma?
O felici quell'anime che 'n via
Sono, o saranno di venire al fine
Di ch'io ragiono, quandunche si sia!

Felices animos (disse altamente l'ingegnosissimo Ovidio)
quibus haec cognoscere primis,
Inque domos superas scandere cura fuit!
Credibile est illos pariter vitiisque locisque
Altius humanis exeruisse caput.
Non Venus et vinum sublimia pectora fregit;
Offìciumve fori, militiaeque labor.


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