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Varchi, Benedetto

Lezioni sul Dante e prose varie


Sotto il firmamento sono le spere de' sette pianeti, il
primo de' quali è Saturno, il quale, oltra i tre moti detti
di sopra, ha il movimento suo propio da Occidente in
Oriente, come tutti gli altri, e lo fornisce quasi in 30
anni, Giove in 12, Marte in 2, il Sole in giorni 365 e
poco meno di 6 ore, onde prese l'anno suo, cioè que-
sto che ancora oggi s'usa, Giulio Cesare, e così Ve-
nere e Mercurio; la Luna che è l'ultima compie il suo
corso girando tutto il cielo da Occidente in Oriente,
come s'è detto, in un mese, cioè in 27 giorni e quasi 8
ore: le quali cose non possono bene intendersi senza la
cognizione delle teoriche de' pianeti. Puossi nondimeno
intendere dalle cose dette, che il primo, il secondo ed
il terzo cielo, cioè il decimo, il nono e l'ottavo, comu-
nicano i movimenti loro a tutti gli altri inferiori e mi-
nori di loro; onde nasce che il decimo ha un moto so-
lo, il nono due, l'ottavo tre, e tutti gli altri almeno
quattro; e chi dicesse: onde viene e come può essere che
Saturno non dia anch'egli e non comunichi il suo moto
propio a Giove, e a tutti gli altri sotto lui? Deve sa-
pere che tutti i cieli de' sette pianeti sono divisi, se-
condo gli astrologi, in tre spere o piuttosto orbi, de' quali
quello che è in mezzo, che si chiama il deferente, per-
ché porta il pianeta e lo muove verso Oriente, non
tocca il cielo del pianeta che gli è di sotto, e conseguen-
temente non lo rapisce, cioè nol si tira dietro; e nel
medesimo modo si deve intendere di Giove e di tutti
gli altri. Non voglio già lasciare indietro che il primo
mobile, qualunche egli si sia, non solamente tutti i cie-
li, ma ancora tutti gli elementi, dalla terra in fuori,
volge seco in giro; la quale se si movesse, sarebbe ne-
cessario che il cielo stesse fermo egli; e perché questo
non può essere, è viva forza che stia ferma, se non se-
condo le parti, almeno secondo il tutto.

Capo quinto ed ultimo.

Le cose che in questo quinto e ultimo capo rac-
contare si deono sono tante e così fatte, che come gli
uomini volgari molte volte non le credono, anzi bene
spesso se ne ridono, giudicandole o vane o false, così i
letterati, solo che astrologi non siano, ne prendono
piuttosto terrore che meraviglia; e di vero chi può tanto
maravigliarsi che non sia poco, considerando che non
potendo l'intelletto nostro cosa alcuna sapere, la quale
da alcuno de' cinque sentimenti porta e somministrata
non gli sia, par necessario una di queste due cose, o
che gli uomini si siano innalzati al cielo, onde abbiano
cotali cose apprese, o che il cielo abbassato si sia agli
uomini per dover essere da loro compreso? L'una e
l'altra delle quali cose par bene impossibile, ma è ve-
rissima, perché e gli uomini coll'ali dell'intelletto se
ne volarono all'altezza de' cieli, e i cieli mediante l'om-
bre, illuminazioni e altri effetti loro s'abbassarono agli
occhi de' mortali. Onde agevolissimamente, per mezzo
di diversi strumenti, da' matematici, de' quali Tolomeo
fu principe, non meno con ineffabile industria che con
ingegno incredibile ritrovati, s'appararono cose tanto
divine e mirabili, che non pur il volgo non n'è capa-
ce, ma eziandio gli scienziati ne dubitano, come in Pli-
nio si può vedere; le quali affine che meglio e più age-
volmente intender si possano da ciascheduno, divide-
remo questo ultimo capo in cinque parti brevissime.
Nella prima delle quali raccontaremo sommariamente
la distanza ovvero intervallo della terra al cielo, cioè
quanto spazio sia dal centro della terra a tutti i cieli.
Nella seconda diremo quanto sia la profondità ovvero
grossezza di ciascun cielo. Nella terza riferiremo la cir-


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