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Plato - Sophista » Varchi, Benedetto Lezioni sul Dante - p. 582

Varchi, Benedetto

Lezioni sul Dante e prose varie


samente contra dime, allegandovi in difesa e per testi-
monianza di quanto aveva detto, due luoghi di Cicero-
ne, ed uno di Terenzio. Il primo è nel secondo libro
delle Pistole chiamate già Familiari, indiritto a Celio,
quando egli nella sedicesima pistola che comincia Ma-
gno dolore
, dice: Sed ego fortasse vaticinor, et haec om-
nia meliores habebunt exitus.
Il secondo è nell'orazione
fatta in favore di Publio Sestio, quando egli dice: Eos
autem qui dicerent dignitati esse serviendum, reipubli-
cae consulendum,, officii rationem in omni vita, non
commodi esse ducendam, subeunda pro patria pericu-
la, vulnera excipienda, mortem oppetendam, vatici-
nari atque insanire dicebat.
Quello di Terenzio è nella
seconda scena del terzo atto del Formione, quando Fe-
dria giovanetto dice a Dorio ruffiano: Non mihi cre-
dis?
ed egli gli risponde: Hariolare
. La qual lettera
avendo io veduta e letta, mi maravigliai molto più di
prima, e vi dissi: "Egli erra di grandissima lunga ed in
cosa da non poter crederlo, perché questi stessi luo-
ghi sono quegli che gli fanno appunto contra, e mo-
strano apertissimamente quello che vi dissi la prima
volta, cioè che egli se n'è ito dietro all'autorità senza
leggerle non che considerarle;" e sollecitandomi voi
tanto più a rispondergli, vi dissi: "Bastivi sapere che
egli ha il torto, ed un dì lo conoscerà da se, se non
lo conosce adesso; io non ho ora né tempo né voglia
d'entrare in simili farnetichi." E se mi maravigliai
allora infinitamente, pensate quello fo al presente, e per
mia fé mi pare cosa fantastica e più che strana, che in
tanto tempo né egli né qualcuno altro, e tanto più es-
sendone stati avvertiti, si siano accorti dell'error loro:
e pure a chiunche n'ho ragionato io, non solamente se
n'è meravigliato, ma riso, e la chiamano più tosto per-
fidia che ignoranza.


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