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Averroes - In De divinatione per somnum » Varchi, Benedetto Lezioni sul Dante - p. 627

Varchi, Benedetto

Lezioni sul Dante e prose varie


quanto sarebbe sconcia cosa e sconvenevole, anzi fuori
d'ogni sentimento, se a uno che dicesse, tu non mi
credi? si rispondesse, farnetica? il che sarebbe proprio
un farneticare. Ma se hariolare non è nel modo che co-
manda ma in quello che mostra, come io credo nel
vero che sia, non vuol dire altro, per quanto stimo io,
se non, tu sei indovino, tu ti sei apposto, tu l'hai in-
dovinato, tu hai avuto l'indovinello, tu ci hai inciam-
pato, come usiamo di rispondere noi tutto il giorno;
e brevemente, non vuol significare altro in sentenza se
non, sì, ch'io non ti credo. E che questo sia il vero e
propio sentimento di quel luogo, lo dimostra più che
manifestissimamente Plauto, dal quale Terenzio tolse,
se non tutte, buona parte delle parole, quando egli disse
nella seconda scena del terzo Atto dell'Asinaria:
Argenti viginti minas habense?
le quali sono parole d'uno schiavo chiamato Litano,
che dimanda a un altro schiavo detto Leonida: hai
tu quei danari? ed egli risponde:
Ariolare,
cioè, nel
sentimento, sì, ho; nel qual luogo non è dubbio nes-
suno, perché, come sa chiunche ha letto Plauto, egli
gli aveva; il che è manifestissimo non meno per le pa-
role che per la sentenza, così di sopra come di sotto,
dicendo poi al padrone: hic insunt in crumena, io gli ho
in questa borsa, facendosi infino portare a cavalluccio
al padrone prima che gliele volesse dare. E questo me-
desimo si può ancora confermare, benché a giudizio
mio non abbia dubbio nessuno, per quel luogo nella
ultima scena della Cestellaria, che dice:
hiccine tu ergo habitas,
e Fanostrata gli risponde: ariolare,
cioè tu sei indovi-
na, ed in sentenza, qui abito, e come noi diremmo. Ma-
donna sì. E che queste non siano mie sposizioni sola-
mente, leggansi tutti i Vocabolisti e comentatori, de' quali


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