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Varchi, Benedetto

Lezioni sul Dante e prose varie


re, se già non è nota per se medesima, o stata da altri
bastevolmente e con verità dichiarata.

Il titolo dell'opera
Capo secondo.


Non è senza gran cagione che dopo il nome del-
l'autore si dichiari il titolo dell'opera; perciocché il ti-
tolo contiene bene spesso brevissimamente quasi tutta
l'intenzione dello scrittore, perché i nomi deono essere
convenienti alle cose. E questi titoli sono alcuna volta
chiarissimi da per se, come si vede ne' libri del Cielo,
dell'Anima; della Generazione ed altri tali, ed alcuna
volta oscurissimi come la Fisica ovvero della Ascolta-
zione naturale
, la Metafisica, la Periermenia ovvero
della Interpretazione, ed altri cotali i quali hanno biso-
gno d'esser dichiarati non solo quanto alle cose, ma an-
cora quanto alle parole. E questo che avviene ne' libri
de' filosofi, occorre ancora eziandio in quelli degli altri
scrittori, così di versi, il che si vede in tutte l'opere di
Vergilio (Buccolica, Georgica, Eneida), come di prosa,
perché s'intende bene di che voglia trattare Marco Tul-
lio quando dice dell'Amicizia, della Vecchiezza, dell'In-
dovinazione
ed altri così fatti, ma non già quando dice
degli Uffizi, le Paradosse, le Disputazioni Tusculane ed
altri di questa maniera. E non ebbe Cicerone a dichia-
rare a Trebazio, il quale fu sì gran dottore, quello che
volesse significare il titolo che pose Aristotile agli otto
libri della sua Dialettica, cioè Topica? E non si disputa
nella Fisica così tra' Greci come tra' Latini, quai libri
si debbono chiamare del Moto e quali no? Hanno al-
cuna volta i libri due titoli, come si vede quasi in tutti
i Dialoghi di Platone, ed alcuna volta più, come si può


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