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Aristoteles - De partibus animalium » Varchi, Benedetto Lezioni sul Dante - p. 233

Varchi, Benedetto

Lezioni sul Dante e prose varie


dentro, preso invece di inspirare, come quando il Pe-
trarca disse nella canzone
O aspettata in ciel beata e bella:
Onde nel petto al nuovo Carlo spira
La vendetta ch'a noi tardata noce.

tue in vece di tu, o perché gli antichi nostri pronun-
ziavano così, come si truova ne' lor libri, fue, amoe,
udie ed infiniti altri, onde levata l'ultima lettera e sil-
laba rimase il medesimo accento acuto fù, amò, udì;
il che non avviene in disse, lesse ed altri tali che non
si dissero mai altramente, se non leggei e dicei, e per
avventura più anticamente dicetti e leggetti; ovvero
per quella figura chiamata da' Greci proparalesse e da
alcuni paragoge, la quale è quando nel fine della pa-
rola s'aggiugne alcuna lettera, ovvero sillaba come in
questo luogo; onde i Latini aggiungono a tutti gli in-
finiti passivi o che finiscono in i la sillaba er per que-
sta figura, dicendo dicier, tradier ec.. Ed il Petrarca
medesimo l'usò sì altrove e sì quando disse:
Che quasi un bel sereno a mezzo il die.
sì come quando marsia traesti della vagina delle mem-
bra sue: non bastava a Dante che Febo gli entrasse
nel petto e spirasse egli, ma lo prega che spiri in quella
guisa che egli spirò quando vinse a sonare Marsia, e
per punizione della sua arroganza lo scorticò. sì come,
e s'intende spirasti, e si deve credere che egli mettesse
allora tutto l'ingegno e forze sue; quando traesti mar-
sia della vagina, cioè guaina, delle sue membra, il che
non vuol significare altro che scorticare; ed è questo
ancora luogo topico tratto dalla guaina, la quale come
rinvolge e contiene il coltello, così la buccia e pelle
nostra, che alcuni antichi chiamano il bucchio, con-
tiene e rinvolge la carne nostra. E pare a me che egli


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