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Aristoteles - De divinatione per somnum » Varchi, Benedetto Lezioni sul Dante - p. 236

Varchi, Benedetto

Lezioni sul Dante e prose varie


i filosofi chiamano spezie ovvero forme, chiamate da
Lucrezio idoli, che non sono altro, come si è detto più
volte, che i simolacri e l'immagini ovvero somiglianze
e similitudini che ci vengono nei sensi mediante i loro
mezzi dalle cose sensibili; del beato regno, quello che
di sopra disse regno santo, cioè del Paradiso; e qui si
può pigliare beato così in significazione passiva come
attiva; segnata, usò vocabolo propissimo, avendo det-
to ombra; nel mio capo, piglia una altra volta quello
che contiene in iscambio di quello che è contenuto,
intendendo della memoria, la quale, come dichiarammo
nella Lezione precedente, ha il suo luogo nella collot-
tola, e qui favella secondo Galeno.
Venir vedrami al tuo diletto legno,
E coronarmi allor di quelle foglie
Che la materia e tu mi farai degno.

Racconta quello che gli seguirà dal favore d'Apol-
lo, cioè che egli si farà degno della corona
Che suole ornar chi poetando scrive.
Dice dunque, pendendo il sentimento dal terzetto di so-
pra: Tu, o virtù divina, vedrami, mi vedrai, o vedrai me,
ché così debbe dire e non vedraimi, come si è dichia-
rato altrove; venir, venire; al tuo diletto legno, al
legno amato da te e che è in tua protezione, quello
stesso che disse di sopra l'amato alloro, ma pose qui
il genere per la spezie, benché il propio genere di tutti
gli alberi è pianta, ed in somma pose legno invece
d'albero, e lo specificò con aggiugnervi tuo e diletto,
come fece il Petrarca quando disse:
L'arbor ch'amò già Febo in corpo umano;
ed anche egli l'usò così quando disse nel sonetto
L'arbor gentil che forte amai molti anni:


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