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Origenes - In Evangelium Johannis » Zucchi, Giacomo Dei de' Gentili - p. 64

Zucchi, Giacomo

Discorso sopra li Dei de' Gentili e loro imprese


altri Tebano lo fanno, sì come Ovidio al quinto de' Fasti, e parimente Luciano. Né
mancano chi di Egitto l'affermano, e chi vuole che da Dirce figlia di Acheleo,
e chi dalla figlia di Aristeo fosse nutrito. Ma lasciando tante confusioni, al nostro
Bacco di Giove e Semele figlio, come più illustre, verremo.
Gran cose certo vogliono che costui facesse, sì come in Diodoro veggiamo;
anzi di molte cose che a molti Dei applicate sono, a questo infiniti le danno e lo
credono primo inventore, per li cui meriti fu tanto venerato da' Gentili, atteso che
ol[e]tra la vite da lui ritrovata, vuol Diodoro, che più delli altri diligentissimamente
ne scrive, infinite altre cose al vivere humano necessario da lui fossero mostre; al
quale autore rimetto chi più sottilmente desidera in particolare saperne.
Tibullo inventor dell'Aratro et del seme del coltivar gli arbori, del coltivar
la vite, et dargli il suo sostegno lo fa primo inventore; Ovidio vuole che il primo
fosse che drizasse Altari, et insegnasse il modo de' sacrifici con vittime et incensi;
Euripide lo fa Dio della divinatione; Homero compagno di Apollo nella Poetica
facultà, consecrando, sì come ad Apollo il Lauro, a questo l'Edera. Diodoro
vuole che col valor suo si sottomettesse grandissimi paesi, soggiogasse l'India, et
ne portasse di quella il da lui ritrovato Trionfo; penetrò sino all'estrema parte
dell'Asia, ma che nell'Oriente drizasse ne' monti dell'India le due famose Colonne,
sì come poi parimente nell'Occidente fece lo invitto e valoroso Ercole. Ordinò
questo Dio i sacrificii che da lui Baccanali furono detti, i quali ogni tre anni li
Tebani in su' monti, et di notte, con grandissimi strepiti e pazzie intolerabili cele-
bravano; là onde per questo con una gran compagnia di Donne, quali Menadi et
Theadi chiamano, et insieme una moltitudine di Satiri, che saltando e ballando
con stridi horribili, con i Tirsi in mano, tal feste faceano, sì come in pittura si
vedono, con le sue solite imprese. Le quali da questi versi, secondo Ovidio, al terzo
et al quarto Metamorfosi, Homero imitando, chiaramente si scorgono:
Ipse racemiferis frontem circundatus uvis,
Pampineis agitat velatam frondibus hastam,
Quem circa Tygres, Simulacraque inania lincum,
Pictarumque iacent fera corpora Pantherarum.

Parimente Virg. al sesto così lo finge. Ma infiniti sono i nomi che da' Poeti attri-
buiti gli sono, sì come Hedereus, Cantor, Brisaeus, Servator, Melanegis, Lisius,
Dionysius, Lenaeus, Dithyranbus, Bimater, Osiris, et Bacchus
, et infiniti altri.
Siede il detto Bacco in un Elefante coronato d'elera, et alzando il manco braccio
ha la mano piena di uva; alli piedi ci è il corpulento e vecchio Silentio in atto di
tracannare gran tazze di vino, che d'alcuni Satiri gli si porgono. Tiene a canto il
suo Asinello a lui dedicato, et appresso il Cembalo, il Trivello, le Pantere, le
Tigri, imprese tutte a Bacco convenienti, et a tutti gli sfacciati e briachi, quali
solo del ventre Idolo fatti si sono; ma gran cosa certo è il considerare la pazzia
de' Gentili di fare loro Dio nel ricetto, anzi, dove continuamente germogliano ogni
sorte di sporcitie et lussurie, et ogn'altro turpissimo peccato, (come disse il Savio):
Ebriosus servus est omnium peccatorum. Et certo non si può dire altro, se non
che l'Ebrietà non sia se non una volontaria insania, et chi in questo vitio si trova
soggetto, non so come possa poi da qual si voglia vitio difendersi. La Ebrietà
toglie la memoria, rovina i sensi, confonde l'intelletto, incita la libidine, ingrossa
la lingua, corrompe il sangue, debilita le membra, diminuisce la vita; et in ultimo
ci toglie ogni salute. Vagliaci di gratia a questo proposito, in vergogna della lus-
suria de' Gentili, tornare a memoria questi pochi di essempi che dalle Sacre Lettere
habbiamo. Poiché Noè, tanto giusto, e buono, Inebriatus est, et nudatus in Taber-
naculo suo
, Genesi 9, Loth; parimente, scampato dall'incendio et nel foco dell'
ebrietà cascato, duplicem incestum commisit, Genesi 19, Holoferne; essendo,
dopo molto vino bevuto, cascato nell'ebrietà, interfectus est a Judith, 11; i fi-
gliuoli finalmente di Iob, nel mezo del convito ripieni di vino, In Domo fratris sui
sunt oppressi
, e senza dubbio alcuno possiamo creder quello che il Savio


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