BIVIO: Biblioteca Virtuale On-Line
Galenus, Claudius (Pseudo) - De ordine utriusque ordinis » Zucchi, Giacomo Dei de' Gentili - p. 51

Zucchi, Giacomo

Discorso sopra li Dei de' Gentili e loro imprese


gl'Apolli tenere, non è però da maravigliarsi che tanta confusione poi fra gli
antichi et moderni scrittori sia nata, intrigandosi l'un con l'altro, quando nominan-
dolo Pithio, hora Thymbraeus, Smyrnaeus, Carneus, Grynaeus, Delius et simili;
là onde davano materie al volgo di maggior pazzie, et alli scrittori finalmente
d'intricata confusione. Virgilio al terzo dell'Eneide vuole che gli fusse ne' sacri-
fici consecrato un Tauro, ma nel quarto dell'Iliade leggiamo un mansueto Agnello.
Hebbe infinite imprese, sì come nel suo Carro dipinto si vede; prima fra l'ar-
bori gli consecrorno il Lauro, del quale coronato si mostra; parimente le saette,
l'arco, la faretra, il serpe, il grifo, lo scudo, il lupo, il gallo, lo sparviere, il co-
codrillo, lo scarafaggio, et uno scettro con un occhio in cima; il Toro, il cigno,
et infinite altre, che a replicarle e discrivere i significati loro, troppo prolissi re-
steremmo, atteso che il luogo nol consente. Basta bene, che si può chiaramente
comprendere esser queste ancora tutte proprietà de' Gentili a questo Dio attri-
buite. Ma è tempo che tocchiamo un poco di lui come pianeta. Dico, che a' piedi
se gli è fatta la sua solita casa, cioè del Leone, tenendo parimente sopra la testa
l'Ariete, casa di Marte, sua esaltatione. Non resterò a questo proposito di non re-
plicare l'istesse parole di alcuni famosi che di questo pianeta scrivono, cioè come
il corpo o globo Solare sia diece volte della Terra maggiore, Tolomeo 160 lo tiene,
et altri 166. Lascio il curioso e professore trovarla più sottilmente, che di questo
non mi ci voglio intricare. Parimente dicono, et si vede di rarissimo, che in quan-
tità, in dignità, et in potentia è molto maggior degl'altri pianeti, poiché con la
sua ogni gran luce offusca. Chiamanlo alcuni Mente, altri Occhio del Mondo, Bel-
lezza del Cielo, Alleggrezza del Giorno, Virtù e Vigore di Tutte le Cose, Perfettione
delle Stelle, Re e Principe della Natura. Vogliono che sia semplicissimo, da cui
nasca la levità et agilità del moto, dalla cui virtù generativa e produttiva ne nasca
che, evitando la virtù, dalla cui simplicità segue la virtù delle Piante, et risolvendo
gl'humori, li converte in nutrimento, et quindi, aprendo i pori della terra, dà virtù
di crescere et pullulare; e per concluderla, dove la luce del Sole non penetra,
chiara cosa è che niente ha vita o nutrimento. Vogliono che il corso suo in
365 giorni, et la quarta parte di un dì di moto proprio finisca, et per questa ca-
gione ogni quattr'anni intercali cioè interponga un dì, che volgarmente è detto
Bisesto; basta che vuole un Mese et 10 hore per ogni segno del Zodiaco. Fa il
dì in 24 hore, et stando nel nostro Hemispero, fa giorno, fa notte stando sotto
terra, nell'Oriente mattino, et nell'Occidente fa sera. In Ariete Primavera, in
Cancro fa Estate, in Libra Autunno, e finalmente in Capricorno il Verno; le quali
quattro stagioni a' pié del Carro con le loro imprese dipinte si veggono.
Vogliono, che sia pianeta fortunato, mascolino, diurno, caldo et secco; induca
nell'huomo sapere, intelligentia, et molte altre cose ancora dicono. Ma forse troppo
scioccamente siamo trascorsi in queste girandole; però torniamo a proposito. Viene
il suo Carro da quattro alati e velocissimi Cavalli tirato, presi, secondo i Poeti,
alcuni per le quattro stagioni, altri per i quattro aspetti del Sole, che dal mattino
al suo Occidente dimostra. E per questo da Iginio ne è chiamato un Erithreo, se-
condo Atteon, tertio Lampos, quarto Philogeo. Ma intorno et innanti al Carro,
con Orologi et ali di farfalle, le Hore, vaghissime Ancille del Sole, si veggono
lietamente scherzare.
Ma più a basso con una accesa facella in mano, coronata di rose et fiori, alata
e vagamente vestita, si vede sbracciata la bella e vaga Aurora, che, mostrando di
havere il suo vecchio e geloso Titone lasciato, spargendo per l'aria frondi e rose,
porge ai mortali il segno della futura luce. Questa da Esiodo di Hiperione è tenuta
figlia, et altri di Titano et della Terra la credono. Vuole Apollodoro, al primo, che
questa di Astreo partorisse i Venti, et del vecchio Titone Mennone. Né mi è nasco-
sto che il Pegaseo Cavallo a questa attribuiscono. Ma così questo, come altre in-
finite cose, le passo, per due ragioni: prima, perché il sito non è stato capace a met-
tere così ogni minutia in pittura; l'altra, per fuggir quanto possiamo di non cascare


pagina successiva »
 
p. 51