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Averroes - In Physicam » Zucchi, Giacomo Dei de' Gentili - p. 55

Zucchi, Giacomo

Discorso sopra li Dei de' Gentili e loro imprese


cino e chiari et immortali fino al Ciel risplendere; sì come affermava quel Di-
vinissimo Greco che la potenza et la sapienza dovevano insieme stare abbracciate,
posciaché l'una va l'altra mutuamente temperando. Ma dove trascorro col mio
dire, poscia che i Fabii, i Quintii, gli Alessandri Magni, i Pompei, i Cesari e gli
Ottaviani, et tanti huomini illustri hormai son morti, et all'incontro i Midi, i
Grassi, anzi i Cerberi, et le nefande e rapaci Arpie, ogni cosa rapiscono. Plutone
in luogo di Apollo, et Cerbero di Pegaseo Cavallo, hanno il Parnaso monte in-
gombrato, et le crapule, le lussurie, in cambio delle celesti Muse sedono in ogni
sorte di voluttà: Sedit populos manducare, et bibere, et surrexerunt ludere. Indi
sotto mille catene e mille chiavi stanno i lor tesori sepolti, di mille sospetti ar-
mati et gelosie; et di quelli facendosi Idoli e Simolacri, solo alle loro sfrenate
voglie finalmente dedicati gli hanno alcuni, ancora non mangiano né bevono con
gusto, né conoscono Dio, né conoscer lo vogliono, né volendo, possono; posciaché,
come è detto, altro Dio che l'oro fatto non s'hanno, et in quello diabolico stro-
mento han messo tutto il cuore, o per dir meglio, per quello hanno della infelice
anima loro fatto al Diavolo Infernale degno sacrificio. Piange la Povertà; si duole
e rammarica la mal veduta et sprezzata Virtù; si disperano le Fatiche, languiscono
i virtuosi, poscia che Apollo hormai tanto inimico a Mercurio si mostra. Gode la
Voluttà, s'allegrano le Sporcitie, l'Adulatione tiene il Principato. Affatichisi adun-
que ogni bello spirito, e fondisi pure nella liberalità di così felice secolo, che non
sarà poco se de' micoli di ghiande, che calpestate sono da bruttissimi porci et
rapaci mostri, potranno finalmente la lor misera vita sostenere, la quale ancora
dalla rabbiosa Sete e cieca Ignoranza saria lor tolta, se il pietoso Dio, con i buoni
Pastori et giustissimi Principi, per sicura difesa non gli havesse provisti non
solo dico con la santa autorità loro, ma con l'opere et con gl'effetti; sì come
tutto il giorno veggiamo in suo mal grado, et oltra di questi tali, i quali, final-
mente morendo, altro che infamia, con i lor mal'acquistati tesori, non cessano
et somma eterna dannatione all'anima loro procurarsi. Ma ad altro tempo ne
ragionerem, solo concludendo per hora, come disse il leggiadro Petrarca:
Povera, et nuda vai Filosofia,
Dice la turba al vil guadagno avezza,
Pochi compagni havrai per la tua via.


Luna.

Essendo noi pervenuti hormai a ragionar della Luna, in questo ultimo
quadro grande, cioè nella testata da basso, non è dubbio che, come il proverbio
dice, saremo della padella nella accesa brasa cascati, dico, pensando noi in essa
trovar maggiore che in Mercurio fermezza, alla quale, oltre all'essere
Pianeta stravagante et istabilissimo, s'aggiunge l'essere feminino, che ne to-
glie in tutto ogni speranza. I sacri versi, per la instabilità et leggerezza,
così come il Sole per la salda fermezza, la pigliano. Ma lasciando noi questo ragio-
namento, daremo alla nostra Diana, con questi versi, principio:
O santa dea, che dalli antichi nostri
Debitamente sei detta Triforme.

Leggiadramente la dipinse l'Ariosto in questa ottava, confermando l'opinione
di Seneca, che di tal nome adorna la fece, credendola che in Cielo, in Terra, et
parimente nell'Inferno si estendesse il suo valore, come che ancora gl'Antichi
volessero accennare nelle tre teste di animali a lei dedicati, cioè di Cavallo, di
Cignale, et la terza di Cane; sì come ancora più apertamente la dichiarorno con
li tre nomi co' quali da loro era ne' sacrifici invocata, cioè Luna in Cielo, Diana
in Terra, Hecate nell'Inferno. Vogliono che sopra il partorire fosse dalle donne
sotto il nome di Lucina chiamata, et creduta che facilitasse molto la strada a' già
maturi parti; et a questo effetto la facessero gl'Antichi con una chiave in mano,


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