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Plato - Phaedo » Della Casa, Giovanni Galateo - p. 408

Della Casa, Giovanni

Trattato cognominato Galateo ovvero de' costumi


sentimento; e tale scambiar le sillabe ne' vocaboli per frivoli modi
e sciocchi; ed altri dire o rispondere altrimenti che non si aspettava,
senza alcuna sottigliezza o vaghezza: — Dove è il signore? — Dove
egli ha i piedi — e: — Gli fece ugner le mani con la grascia di san
Giovan Boccadoro
— e:— Dove mi manda egli? — Ad Arno;
— Io mi voglio radere — E' sarebbe meglio rodere; — Va', chiama
il barbieri — E perché non il barbadomani? — I quali, come tu
puoi agevolmente conoscere, sono vili modi e plebei: cotali fu-
rono, per lo più, le piacevolezze e i motti di Dioneo. Ma della più
bellezza de' motti e della meno non fia nostra cura di ragionare
al presente, conciossiaché altri trattati ce ne abbia distesi da troppo
migliori dettatori e maestri che io non sono, e ancora perciocché
i motti hanno incontinente larga e certa testimonianza della loro
bellezza e della loro spiacevolezza: sicché poco potrai errare in ciò,
solo che tu non sii soverchiamente abbagliato di te stesso, per-
ciocché   dove è piacevol motto ivi è tantosto festa e riso e una cotale
maraviglia. Laonde, se le tue piacevolezze non saranno approvate
dalle risa de' circonstanti, sì ti rimarrai tu di più motteggiare,
perciocché il difetto fia pur tuo e non di chi t'ascolta; conciossia-
cosaché gli uditori quasi solleticati dalle pronte o leggiadre o sot-
tili risposte o proposte, eziandio volendo, non possono tener le
risa, ma ridono mal lor grado; da' quali, sì come da diritti e legit-
timi giudici, non si dee l'uomo appellare a se medesimo né più
riprovarsi. Né per far ridere altrui si vuol dire parole né fare atti
vili né sconvenevoli, storcendo il viso e contraffacendosi: ché niuno
dee, per piacere altrui, avvilire se medesimo, che è arte non di


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