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Pseudo-Dionysius - De divinis nominibus » Della Casa, Giovanni Galateo - p. 420

Della Casa, Giovanni

Trattato cognominato Galateo ovvero de' costumi


e non ti arai a ridire, né a dire: — Io non dissi bene — né: — Domin,
ch'io lo dica! — né a scilinguare o balbotire lungo spazio per
rinvenire una parola: — Maestro Arrigo. No: maestro Arabico;
o ve' che lo dissi! maestro Agabito —, che sono a chi t'ascolta
tratti di corda. La voce non vuole essere né roca né aspera. E non
si dee stridere, né per riso o per altro accidente cigolare, come le
carrucole fanno; né, mentre che l'uomo sbadiglia, pur favellare.
Ben sai che noi non ci possiamo fornire né di spedita lingua né
di buona voce a nostro senno.   Chi è o scilinguato o roco non
voglia sempre essere quegli che cinguetti, ma correggere il difetto
della lingua col silenzio e con le orecchie
: e anco si può con istudio
scemare il vizio della natura. Non istà bene alzar la voce a guisa di
banditore
, né anco si dee favellare sì piano che chi ascolta non
oda. E, se tu non sarai stato udito la prima volta, non dèi dire la
seconda ancora più piano; né anco dèi gridare, acciocché tu non
dimostri d'imbizzarrire perciocché ti sia convenuto replicare
quello che tu avevi detto. Le parole vogliono essere ordinate se-
condo che richiede l'uso del favellar comune, e non avviluppate e
intralciate in qua e in là come molti hanno usanza di fare per leg-
giadria. Il favellar de' quali si rassomiglia più a notaio che legga
in volgare lo instrumento che egli dettò latino che ad uom che
ragioni in suo linguaggio; come è a dire:
imagini di ben seguendo false
e:
del fiorir queste inanzi tempo tempie;


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