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Plato - Epinomis » Della Casa, Giovanni Galateo - p. 395

Della Casa, Giovanni

Trattato cognominato Galateo ovvero de' costumi


non ha così onorato l'altro per via, come si doveva onorare; per-
ciocché le forze della usanza sono grandissime, come io dissi, e vo-
glionsi avere per legge in simili affari. Per la qual cosa chi dice “Voi”
ad un solo, purché colui non sia d'infima condizione, di niente gli
è cortese del suo: anzi, se gli dicesse “Tu”, gli terrebbe di quello
di lui e farebbegli oltraggio e ingiuria, nominandolo con quella
parola con la quale è usanza di nominare i poltroni e i contadini.
E, se bene altre nazioni e altri secoli ebbero in ciò altri costumi,
noi abbiamo pur questi e non ci ha luogo il disputare quale delle
due usanze sia migliore, ma convienci ubbidire non alla buona ma
alla moderna usanza, sì come noi siamo ubbidienti alle leggi ezian-
dio meno che buone per fino che il Comune o chi ha podestà di
farlo non le abbia mutate. Laonde   bisogna che noi raccogliamo di-
ligentemente gli atti e le parole con le quai l'uso e il costume mo-
derno suole e ricevere e salutare e nominare nella terra ove noi
dimoriamo ciascuna maniera d'uomini, e quelle in comunicando
con le persone osserviamo
. E, nonostante che l'ammiraglio, sì come
il costume de' suoi tempi per avventura portava, favellando col re
Pietro d'Aragona gli dicesse molte volte “Tu”, diremo pur noi a'
nostri re “Vostra Maestà” e “la Serenità Vostra” così a bocca come
per lettere: anzi, sì come egli servò l'uso del suo secolo, così deb-
biamo noi non disubbidire a quello del nostro. E queste nomino io
cirimonie debite, conciossiaché elle non procedono dal nostro vo-
lere né dal nostro arbitrio liberamente, ma ci sono imposte dalla
legge, cioè dall'usanza comune; e nelle cose che niuna scelleratezza


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