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Bruno, Giordano

De gli eroici furori


s'il lioncorno corre al casto seno
non vede il laccio che se gli prepara:
i' al lum', al font', al grembo del mio bene,
veggio le fiamme, i strali e le catene.
S'è dolce il mio languire,
perché quell'alta face sì m'appaga,
perché l'arco divin sì dolce impiaga,
perché in quel nodo è avolto il mio desire:
mi sien eterni impacci
fiamme al cor, strali al petto, a l'alma lacci.

Dove dimostra l'amor suo non esser come de la farfal-
la, del cervio e del lioncorno, che fuggirebono s'aves-
ser giudizio del fuoco, della saetta e de gli lacci, e che
non han senso d'altro che del piacere: ma vien guidato
da un sensatissimo e pur troppo oculato furore, che gli
fa amare più quel fuoco che altro refrigerio, più quella
piaga che altra sanità, più que' legami che altra liberta-
de. Perché questo male non è absolutamente male: ma
per certo rispetto al bene secondo l'opinione, e falso;
quale il vecchio Saturno ha per condimento nel devorar
che fa de proprii figli. Perché questo male absoluta-
mente ne l'occhio de l'eternitade è compreso o per be-
ne, o per guida che ne conduce a quello; atteso che que-
sto fuoco è l'ardente desio de le cose divine, questa
saetta è l'impression del raggio della beltade della su-
perna luce, questi lacci son le specie del vero che unisco-
no la nostra mente alla prima verità: e le specie del bene
che ne fanno uniti e gionti al primo e sommo bene. A
quel senso io m'accostai quando dissi:
D'un sì bel fuoco e d'un sì nobil laccio
beltà m'accende, et onestà m'annoda,
ch'in fiamm'e servitù convien ch'io goda,
fugga la libertade e tema il ghiaccio;
l'incendio è tal ch'io m'ard'e non mi sfaccio,
el nodo è tal ch'il mondo meco il loda,
né mi gela timor, né duol mi snoda;


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