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Pseudo-Dionysius - De divinis nominibus » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 143v

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


Et indi segue. Dicono appresso che regnando in concordia et amore insieme con Iano,
et havendo communemente edificato terre et castelli vicini, cioè Saturnia et Ianicu-
lo, allhora essere stato il secolo aureo, percioché allhora era la vita a tutti libera, nes-
suno non era servo, nessuno contrario all'altro, nessun furto nei loro confini non era fat-
to, né sotto lui alcuno non hebbe nessuna cosa particolare. Né era lecito partir la ter-
ra, né dividere alcun campo. Là onde per rispetto dei seguiti cattivi secoli, quelli fu-
rono detti aurei. Et i Romani appresso le case di Saturno vi fecero l'errario publico,
accioché appresso quello si ponesse il dinaro commune; sotto cui a tutti fosse ogni cosa
commune. Appresso insegnò a quelli rozi lavorare i campi, seminare et raccorre il
frutto, et al suo tempo ingrassare con i letami i terreni. Là onde non havendo per que-
sti altri uffici conseguito nessun cognome, per questo ultimo fu chiamato Sterculio,
nome veramente, a tanto et tale Iddio, splendido et notabile. Finalmente havendo in
molte cose riformato meglio la vita dell'huomo, avenne che in un subito non compar-
se più in loco veruno. Di che (secondo Macrobio) Iano pensò egli essere stato l'accre-
scimento di tutti gli honori suoi; et prima chiamò tutta la regione da lui posseduta Sa-
turnia, indi gli drizzò, sì come a Iddio, un altare con i sacrifici divini, i quali chiamò
Saturnali, et commandò che fosse riverito per riverenza di religione tanto quanto aut-
tore di miglior vita; della qual cosa ne fa fede la sua imagine alla cui è apposta la fal-
ce, instrumento del raccolto. Oltre ciò attribuirono a questo Iddio tutti i nutrimenti
de' pomi, et simili altre cose fertili. Et sì come l'istesso Macrobio dice, alcuni s'hanno
persuaduto costui insieme con la moglie essere il Cielo et la terra; et Saturno esse-
re detto da nascere, la cui materia è del Cielo, et la terra Opi, per opra della cui si cer-
cano i nodrimenti della vita humana, overo dall'opra per la cui i frutti et le biade na-
scono. Fanno i voti a questa dea sedendo, et per industria toccano la terra, dimostran-
do essa terra essere da tenere per madre de' mortali. Et così vogliono Saturno non so-
lamente essere Dio, ma ancho il Cielo, che insieme con la moglie opra in noi. Philo-
coro appresso, per dimostrare non solo questa essere stata pazzia d'Italiani, dice che
Cecrope in Athene fu il primo che a Saturno et Opi edificasse altari, et quelli invece
di Giove, et la terra adorasse; et che ordinò che i padri di famiglia di mano in mano
insieme con i servi usassero delle biade et frutti incominciati a maturare. Così Apollo-
phane comico chiama nel verso Epico Saturno quasi sacro. I Romani poi, i quali heb-
bero grandissima avertenza di non nomare senza proprio significato alcuna co-
sa, edificarono a questo Iddio un tempio, et nella sommità di quello vi scol-
pirono i Tritoni, et sotterra sepellirono le code di quelli, vo-
lendo eglino per ciò dinotare che dal ricordo di quello
fino all'età nostra la historia sia chiara et voca-
le, la quale prima di lui è muta, oscura
et non conosciuta; il che per lo
nascondere delle co-
de s'intende.


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