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Biblia, 2 Cor » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 11r

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


gittato il seme di ciascuna cosa, sta in suo potere condur quello di maniera in accrescimen-
to che sia atto a venir in luce. Lachesi poi (come vuole l'istesso) viene interpretata pro-
trattione, cioè guida et allungatione; conciosia che tutto quello che da Cloto è composto
et chiamato in luce, da Lachesi viene raccolto et allungato in vita. Ma Atropos dall' A,
che significa senza, et Tropos, che è conversione, o vogliamo dire tramutatione, viene
ad essere interpretata senza conversione; attento che ogni cosa nata subito che da lei è
conosciuta essere giunta al termine a sé prima segnato conduca a morte. Dalla quale per
opra naturale non è poi nessuna conversione. Apuleio poi Medaurese Philosopho di non
minor auttorità di queste nel libro da lui chiamato Cosmographia così ne scrive: Ma so-
no tre i Fati per numero, che oprano con la ragione del tempo, se tu rifferisci la potenza
di questi alla assimiglianza del medesimo tempo. Percioché quello che nel fuso è compiu-
to ha spetie del tempo passato; quello che si torze nei diti significa li spatii del momen-
to presente; et quello che anche non è tratto dalla conocchia et sottoposto alla cura dei
diti, pare che mostri le cose avenire del futuro et consequente secolo. A questi ha toccato
tale conditione et proprietà dei loro nomi. Che Atropos sia il fato del tempo passato, il
che veramente Iddio non sarà non fatto, del tempo futuro; Lachesi poi cognominata dal
fine, percioché ancho Iddio ha dato il suo fine alle cose che hanno a venire. Cloto ha cura
del tempo presente, acciò persuada ad esse attioni; affine che la cura diligente non manchi
a tutte le cose.
Questo dice Apuleio. Sono appresso di quelli che vogliono Lachesi essere
quella che noi chiamiamo Fortuna, et da lei essere maneggiato tutte quelle cose che s'ap-
partengono a' mortali. Ma quello che tengano gli antichi del fato, come che non siano mol-
to differenti dai precedenti, hora parmi da vedere. Dice adunque Tullio del fato, nel li-
bro ch'egli scrisse della Divinatione, in questo modo: Chiamo il fato quello ch'i Greci mar-
medine, cioè ordine et capo delle cause, partorendo la causa di sé la causa; et quella è la
verità sempiterna che abonda d'ogni eternità; il che così essendo, non ha per avenire alcu-
na cosa della cui la natura non contenga le cagioni ch'oprano l'istesso. Onde s'intende che
il fato sia non quello che superficiosamente, ma quello che Philosophicamente vien detto
causa eterna delle cose, per la quale si sono fatte le cose passate, si fanno quelle che sono,
et quelle che seguiranno sono per essere.
Questo dice Cicerone. Boetio Torquato poi,
huomo studiosissimo et catholico, dove scrisse della Consolatione Philosophica, altercando
diffusamente sopra questa materia con la Philosophia maestra delle cose, tra l'altre cose
dice del fato così: La generatione di tutte le cose, et tutto il progresso delle nature mu-
tabili, et ciò che si move ad alcun modo, opra et seguita le cause, gli ordini, et le forme
secondo la stabilità della mente divina. Questa, composta nella Roccha della sua sempli-
cità, ordinò diverso modo nell'essequire le cose; il qual modo, riguardandosi con essa puri-
tà di divina intelligenza, viene detto Providenza. Quando poi egli vien rifferito a quelle
cose che move et dispone, dagli antichi è chiamato fato.
Queste cose dice Torquato. Po-
trei ancho descrivere quello che Apuleio nella Cosmographia diterminò del fato, et ap-
presso l'openioni d'altri; ma perché istimo assai essersi detto, brevemente descriverò per-
ché le Parche, o il Fato, overo i Fati siano detti figliuoli di Demogorgone o dell'Herebo,


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