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Galenus, Claudius (Pseudo) - De ordine utriusque ordinis » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 11v

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


overo della Notte. Havendo spesso ad occorrere per l'avenire, et essendo già nelle pre-
cedenti cose accaduto, che il causato sia detto figliuolo del causante, possiamo al presente
dire queste tre sorelle, chiamate con diversi nomi, figliuole d'Iddio, come da lui causate;
il quale è prima cagione delle cose, come a bastanza per le parole poco dianzi di sopra di
Cicerone et Torquato si può vedere. Questo Iddio, come è stato detto, gli antichi chia-
marono Demogorgone. Che poi dell'Herebo et della Notte, come dice Tullio, siano na-
te, si può produrre tal ragione. L'Herebo è un loco (come più apertamente si dimostrerà
nelle cose seguenti) della Terra profondissimo et nascosto, il quale allegoricamente possia-
mo torre per la profondità della divina mente, nella cui occhio mortale non può penetra-
re; et la divina mente, come sé stessa veggendo, intendendo quello havesse a fare produ-
cesse indi queste, havendo a fare con la natura delle cose; onde a bastanza possiamo dire
essere nate dall'Herebo, cioè dal profondissimo et interno segreto della divina mente.
Figliuole poi della Notte si ponno dire in quanto a noi, percioché tutte quelle cose nelle
quali la luce degli occhi nostri non può penetrare chiamiamo oscure, et simili alla notte
quelle che mancano di luce. Così noi adombrati da mortal nebbia non potendo passare con
l'intelletto all'intrinseco della divina mente, essendo quella in sé chiarissima, et splendente
di viva et sempiterna luce, attribui<a>mo il vitio a lei col nome del nostro habito, chiamando
notte il giorno chiaro. Et così saranno figliuole della Notte, o vogliamo dire, perché ci so-
no nascoste le loro dispositioni le chiamiamo oscure et figliuole della Notte. Dei nomi pro-
pri egli s'ha detto di sopra; degli appellativi, si dirà. Chiama adunque Tullio queste Par-
che come pens'io per Antifrasim, percioché non perdonano a nessuno; conciosia che ap-
presso loro non è nessuna eccettione di persone. Solo Iddio può calcare et rivolgere le sue for-
ze et ordine. Fato poi, o vero fati, è nome tratto da for faris, quasi che vogliano quelli che
l'imposero tal nome che da quelle adunq. di maniera quasi irrevocabile sia detto, o vero previ-
sto; come per le parole di Boetio assai si comprende, et come ancho pare che tenga Santo Ago-
stino dove parla della Città di Dio. Ma egli rifiuta il vocabolo, avisando che, se alcuno chia-
merà la volontà o la potenza d'Iddio con nome di fato, sia sententiato a lasciarvi la lingua.
Polo, sesto figliuolo
di Demogorgone.
Dicono appresso Polo essere stato figliuolo di Demogorgone; et
questo nel suo Protocosmo afferma Pronapide, che di lui recita tal fa-
vola. Dicendo che, stando appresso l'onde nella sua sedia Demogorgone,
et del fango che n'usciva compose una massa da lui chiamata Polo, il quale
sprezzato le caverne del padre et la pigritia se ne volò in alto; et es-
sendo ancho una mole, nel volare crebbe in così gran corpo che circondò tutte quelle cose che per
inanzi dal padre erano state composte. Ma né ancho havea nessuno ornamen<t>o; quando stando d'
intorno al padre che fabricava il globo della luce, et veggendo molte faville accese per le col-
pi dei martelli che qua et là volavano, allargato il gra<m>bo tutte le raccolse et portolle nel-
la sua stanza, adornandola tutta di quelle. Havrei, Inclito Re, di che ridermi veggendo così di-


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