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Alcibiades I » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 175r

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


cono che li diede aiuto in questa forma, facendo venire una pioggia di sassi; de' quali di
maniera quel loco n'è abondante, che liggiermente pensaresti esservi piovuto. Tengo io
che questi tali fossero huomini valorosi et stranieri, i quali ivi havendo fatto le sue habi-
tationi, et temendo non n'essere scacciati, si fecero contra Hercole overo altro ch'ivi veniva,
dal quale furono vinti. Onde i sassi che diffusamente sono sparsi diedero materia alla favola.
Tara, sesto figli-
uolo di Nettuno.
Servio afferma che Tara fu figlio di Nettuno, et dice ch'egli già vicino
ai confini de' Salentini edificò Taranto, famosissima città, atribuendole il nome
suo; benché Giustino voglia ch'ella fosse fabricata dai bastardi de' Spar-
tani. Ma l'istesso Servio conferma che da loro (capo Pallante) fu non edificata, ma restaurata.
Poliphemo Ciclope, setti-
mo figliuolo di Nettuno.
Poliphemo Ciclope, sì come ancho tutti gl'altri Ciclopi, fu figliuolo di
Nettuno et Thoosa figlia di Phorco, secondo che s'è visto di sopra per
Homero dove s'è parlato di Thoosa. Si trova tra tutti gl'altri Ciclopi
costui esser stato famosissimo et potentissimo, et haver amato Galatea
Nimpha di Sicilia, sì come si vede dove s'è detto di Galatea. Oltre ciò, vogliono ch'egli haves-
se un occhio solo et che fosse huomo di grande statura, il quale nelle selve Siciliane havesse
molti gregi; et che ultimamente da Ulisse fosse privo dell'occhio. Di costui Homero nell'
Odissea recita favola tale. Dice che Ulisse vagabondo dopo la ruina di Troia, lasciati i Lo-
tophagi, essendo venuto in Sicilia vide ivi un huomo rustico et selvaggio che mungeva i
gregi, et della entrata della sua spelonca levava un sasso solo, che venti paia de' buoi non hav-
rebbe potuto movere. Finalmente, essendo Ulisse insieme con dodici suoi compagni di nave en-
trato nell'antro di Poliphemo, et narratogli chi eglino fossero et onde venissero, dimandan-
dogli appresso favore et aiuto nelle sue necessitadi, dal Ciclope superbamente gli fu rispo-
sto et detto che non temeva Giove, et che di Giove era migliore. Indi interrogandoli
dove hav<e>ssero lasciato la nave, da Ulisse che s'accorse della perfidia di Poliphemo gli fu
risposto che la nave s'era rotta in mare, et che a caso ivi erano capitati. Di che Poli-
phemo in presenza di tutti gl'altri prese due dei compagni, et vivi se gli trangugiò in-
gordamente. Là onde Ulisse impaurito havea pensato amazzarlo, ma considerando ch'e-
gli non havrebbe potuto levare quella gran machina dall'entrata della spelonca, si restò.
Ma venuta la mattina il Ciclope mangiò due altri de' compagni, et lasciando Ulisse
con gl'altri nell'antro, se n'uscì col grege fuori alla pastura. Onde Ulisse restato ivi
rinchiuso assottigliò nella cima un gran bastone et il coperse sotto il letame; et ri-
tornando la sera il Ciclope, medesimamente mangiò due altri dei compagni. Et
Ulisse, il quale insieme con i compagni quando entrarono nella spelonca havevano alcu-
ni fiaschi di vino, appresentò uno di quelli a Poliphemo, pregandolo che gl'havesse miseri-


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