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Varro, Marcus Terentius - De lingua latina » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 18r

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


splendore della vanagloria; le quali veramente di continuo con nove scorte allacciando gli
ignoranti accrescono gl'infelici pensieri, et i cresciuti non lasciano sminuire. L'Herebo
poi è circondato overo inondato da quattro fiumi, accioché per ciò conosciamo che quelli
i quali (lasciata la ragione) si lasciano strascinare dalle incominciate concupiscenze, prin-
cipalmente (turbata la allegrezza del dritto giudicio) passano Acheronte, il quale s'inter-
preta mancante d'allegrezza. Così, cacciata la letitia, è di necessità la mestitia occupi il
suo luogo; dalla quale (per lo perduto bene della allegrezza) molte volte nasce l'ira im-
petuosa dalla cui siamo guidati in furore, che è Phlegetonte, cioè ardente. Dal furore an-
cho si lasciamo trascorrere in tristezza, che è la palude Stigia; et dalla tristezza in pian-
to et lagrime, per le quali e da intendere Cocito, quarto fiume infernale. Et così noi miseri
mortali guidati dalla cieca openione del concupiscevole appetito siamo crucciati, et entro
noi sopportiamo quello che i pazzi istimano dai poeti esser rinchiuse nelle viscere della
Terra. L'Herebo poi è chiamato con tal nome, come dice Uguccione, perché troppo s'acco-
sta a colui che piglia. Dite è nomato da Dite suo Re, il quale appresso i poeti è detto Iddio
delle ricchezze; et questo imperò perché questo loco sia ricco, cioè abondante, attento
che ivi discendano, come ancho per lo più fanno quei c'hoggidì muoiono, per lo passato
tutti. Tartaro così è detto dalla Tortura, perché tormenta quelli che inghiottisce. Ma il
Tartaro è un profondissimo loco degl'Inferni, dal cui nessuno (come pare che voglia
Uguccione) giamai trasse fuori Christo. L'Orco viene chiamato per l'oscurità, et il Bara-
tro dalla forma. Percioché il Baratro è un vaso contesto di vimini, dalla parte di sopra am-
pio et di sotto acuto, del cui usano i rozi campani, mentre dalle viti congiunte agli albe-
ri vindemiano l'uve. Et per ciò tal similitudine è fatta accioché intendiamo l'Inferno ha-
ver grandissime et ampie fauci et entrate per ricevere i dannati, et a ritenerli strettis-
simo et profondo loco. Si dice Inferno perché è inferiore a tutte le parti della Terra. Aver-
no, poi, da A che significa senza et Vernos che è allegrezza vien detto, percioché manca
di allegrezza et abonda di sempiterna tristezza.
Amore, primo fi-
gliuolo dell'Herebo.
Di figliuoli dell'Herebo primo ci è occorso l'Amore; il
quale afferma Tullio, dove tratta delle Nature dei Dei, essere stato pro-
dotto da lui et dalla Notte. Il che, o serenissimo dei Re, ti parrebbe for-
se inconvenevole et monstruoso, se il vero con la ragione possibile non
ti fosse dimostrato. Fu antica sentenza degli antichi l'Amore esser una
passion d'animo; et però ciò che desideriamo, quello è Amore. Ma perché
in diverso fine sono portati i nostri affetti, è necessario che l'Amore d'intorno a tutte le co-
se non sia quell'istesso. Et perciò, ridotti in picciolo numero i disideri de' mortali, i nostri mag-
giori lo fecero di tre sorte. Et inanzi gli altri, con testimonio d'Apuleio in quel libro ch'egli


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