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Valerius Flaccus, Gaius - Argonautica » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 19r

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


Fatica, terza
figliuola dell'Herebo.
Questa Fatica da Cicerone viene descritta per figliuola della Notte
et dell'Herebo; la cui qualità dall'istesso tale viene formata. La fatica
è una certa operatione di grave attione d'anima o di corpo, o volonta-
ria o per prezzo. La quale molto bene considerata, meritamente del-
la Notte et dell'Herebo viene detto figliuola, et si può dire colui che
è dannoso è meritamente da essere rifiutato. Percioché, sì come nell'
Herebo et nella notte è una perpetua inquiete di nocenti, così ancho negl'interni segre-
<t>i de' cuori di quelli che sono guidati da cieco disio circa le cose superflue et poco convene-
voli v'è un disturbo di continuo pensiero. Et perché questi tali pensieri sono causati in pet-
to oscuro, debitamente tale Fatica viene detta figliuola della Notte et dell'Herebo.
Invidia, quarta
figliuola dell'Herebo.
Tullio dice la Invidia essere stata figlia dell'Herebo et della Not-
te; la quale dove tratta delle Questioni Tusculane fa differente dall'In-
videnza, dicendo la invidenza solamente appartenere all'invidioso,
conciosia che paia la invidia attribuirsi ancho a colui a cui si porta. Et
di quella conchiudendo dice la Invidenza essere una infermità pigliata
per le cose prospere d'altrui, le quali non nuocciano niente all'invidio-
so. Descrive poi i costumi et l'habitatione di questa Ovidio in tal modo:
Del<l>'Invidia va subito a trovare
Gli horrendi tetti per lo nero sangue;
La cui casa è riposta in ime valli,
U'dei raggi del Sol manca l'entrata,
Né d'ivi mai troppo alcun vento passa.
È disutile, et trista, et piena ogn'hora
Di freddo, et sempre mai vi manca il foco
E ogn'hor d'oscura nebbia è più ripiena.

Et poco da poi così segue:
Et picchiando alle porte, elle s'apriro;
Dove entro vede l'Invidia, che mangia
Le carni viperine (nodrimenti
De' vitii suoi) et subito veduta
Rivolse gli occhi adietro. Et ella tosto
Levossi in piedi, ivi lasciando i corpi
Dei serpi mezzo divorati homai;
Venendo verso lei con lento passo.
Ma tosto, ch'ella vide l'alta dea
Ornata di presenza, et d'arme chiare,
Gemere incominciò; di che la dea
Fu sforzata ai sospir volgere il volto.
Perch'è pallida in viso; e in tutto il corpo
Macilenta, et il guardo ha oscuro, e bieco.
Lividi i denti son per rugginezza;
Il petto per lo fele è tutto verde,
La lingua ha tutta piena di veneno;
Lontano ha il riso; eccetto se le doglie
Ch'altri vegga patir, non ve lo muove;
Non dorme mai; ma sempre da pensieri
Tenuta è vigilante; e ogn'hor riguarda
Degli huomini i successi ingrati, e rei,
Et marcisce in mirargli, e piglia, e insieme
Da quei vien presa; è il suo tormento tale.


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