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Plinius Secundus, Gaius - Naturalis historia » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 259v

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


vanità et cose lascive et l'essorta a cose gloriose. Per lo quale Virgilio inten-
de o il morso della propria conscienza o la riprensione dell'amico et huo-
mo eloquente, dai quali noi dormendo nel lezzo delle vergogne siamo sveglia-
ti et ricondotti nel dritto et bel camino, cioè alla gloria; et allhora sciogliemo il no-
do della vergognosa dilettatione quando, armati di fortezza, con animo constante et
forze sprezziamo, facciamo poco conto né si curiamo di carezze, lagrime, preghiere
et altre cose tali che ci guidano in contrario. Nella terza Virgilio cura nelle lo-
di d'Enea d'inalzare la progenie dei Giulii in honore d'Ottaviano Cesare, il che fa
mentre dimostra quello che sprezza le lascivie, le immonditie della carne, et con
la fortezza della mente calca le delitie feminili. Nella quarta intende d'inalzare la
gloria del nome Romano; la qual cosa opra a bastanza mentre descrive le preghie-
re et maledittioni di Didone vicina alla morte. Percioché per quelle s'intendeno le guer-
re de' Cartaginesi con Romani et i Triomphi che di loro ne riportarono Romani, ne'
quali assai s'inalza il nome Romano. Et così Virgilio non fu bugiardo, sì come i poco
intendenti istimano, né altri poeti che ancho medesimamente habbiano finto.
Che pazzamente si
biasima quello che men dirittamente s'intende.
Vogliono anchora, et tuttavia cridano questi maldicenti
del nome poetico, al tutto essere da estinguere et mandare in oblio
i versi dei poeti, percioché sono tutti composti di lascivie et ciancie
dei dei gentili; né in alcun modo essere da patire che ad uno et istes-
so Iddio siano attribuite più forme et tutte le cose, sì come fanno i
poeti al suo Giove, overo ad altri. Gli aversari nostri a guisa di stol-
to soldato entrano nosco in contrasto; il quale si lascia trasportare da tanto impeto di
nuocere all'inimico che sé stesso non riguarda, onde bene spesso aviene che quei colpi
ch'egli prepara conttra l'altro, egli disarmato gli riceve. Io a queste obiettioni ridotte
in uno invoglio mi pensava assai nelle precedenti scritture haver risposto, nelle quali mi
ricordo spessissime volte essere stato scritto et incluso sotto diversi forme, lascivie, cian-
cie et nomi, honesti et saporiti sensi, de' quali ancho ricordomi haver posto dei miei
secondo le forze del debile ingegno, rimovendo le loro corteccie. Ma i dishonesti atti de-
gli dei in ogni via, et spetialmente dai poeti comici descritti, non lodo né approvo; an-
zi gli biasimo, et tanto istimo da essere vituperati in ciò gli scrittori quanto gli atti.
Veramente l'ara di fingere è spatiosissima, et la Poesia sempre camina col corno pieno
di fittioni. Non adunque mancavano a tutti i sensi honestissime corteccie. Ma questa que-
rela già molto è stata levata et acquetata, percioché nelle scene et nei Theatri dai
Mimi, histrioni et parasceti et simili huomini già si cantavano cose enormi. In tutto
le levarono et reprovarono gli antichi Romani (Cicerone testimonio) et dannarono es-
sa scena et arte ludibrica, dicendo che la paragono con la nota censoria, et gli rimossero
dalle Tribù. Così ancho per editto dei pretori fu vietato che se alcuno dell'arte ludrica o


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