BIVIO: Biblioteca Virtuale On-Line
Plato - Respublica » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 264r

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


iosa cosa da udire, anchora che fossero in tutto da sprezzare i poeti. Sarebbe cosa ini-
qua, se tu vedessi nel fango una pietra pretiosa, et raccorla, come quasi il fango che
si gitta via l'havesse fatta meno pregiata? Né si vergognano questi interpreti con questa
sua prosontuosa et generale prohibitione volere della verità essere fatta bugia, se tal-
hora haverà parlato il poeta; anzi a bocca aperta negano che l'habbiano detta. Egli è
cosa da ridere sentire il diavolo, inimico del genere humano, talhora haver potuto dire
qualche buona parola, ma i poeti, come che contra la conscienza poco dianzi habbia
conceduto che siano cattivi, benché forse in alcuni non vi si potrebbe opporre di ragione
nessuna cosa dishonesta eccetto la gentilità, non haver potuto dire pur una buona parola.
Dai sacri huomini ancho talvolta è chiamato in testimonio il Diavolo; ma l'havere
invocato un Poeta, per l'auttorità di questi oppositori è irremissibile peccato. Ma hora
prego che questi riprensori et preconi dell'essiglio dei poeti mi dicano che più della
Philosophia puote havere peccato la poesia. Certamente la Philosophia è ottima ricerca-
trice della verità. Della ritrovata poi sotto velame fidelissima serbatrice ne è la Poesia.
Se quella sente le cose meno che diritte, questa non ha potuto havere serbato il giu-
sto. Percioché ella è servente della padrona, et è di necessità che segua i suoi vesti-
gi. Se quella esce di strada, che ancho questa pigli cattivo camino la necessità la con-
stringe. Che è adunque, se a bocca piena allegghiamo i Philosophi gentili, serbia-
mo le loro sentenze, et non fermiamo nessuna cosa se non quasi fortificata dal-
la sua auttorità? Sappiamo che abhorriscono i detti dei poeti et i poeti, et biasiman-
doli li condenniamo. S'innalza Socrate, s'honora Platone et si riverisce Aristotele,
per lasciare gli altri da parte che tutti furono gentili, et molte volte huomini ir-
reprobabili per le false openioni. Homero dai nostri oltraggiatori si scaccia, si dan-
na Hesiodo, et si disprezza Marone et Flacco, i cui figmenti in sé non hanno al-
tro che le loro disputationi. Onde perché studiano i loro volumi, et da quelli
benché con difficultà, no'l patendo l'ingegno, alcuni principii ne hanno compre-
so, lodano quelli come se gli havessero intesi; ma perché non intendeno la pro-
fondità degli scritti dei poeti, gli sprezzano et abhorriscono. Nondimeno gri-
dino, latrino, commandino et persuadino quello che vogliono; se gli scritti dei phi-
losophi, se i fatti dei barbari et le perfidie degli heretici si ponno leggere, ancho i
volumi dei poeti senza peccato né offesa di Dio né del mondo se ponno leggere,
tenere et udire, con la mente tuttavia però intiera et costante; accioché di-
cendo quelli alle volte alcuna cosa in approvatione della fede loro gentile, i letto-
ri come stranieri non si lasciassero da quella macchiare. Hora ci resta all'ul-
tima parte dei loro gridi un poco più valorosamente et con più lungo parlare
da opporsi, perché con questa, cavata dall'auttorità d'un famosissimo et santis-
simo huomo, si credeno havere fermato tutte l'altre prime. Dicono adunque, escla-
mando le parole di Girolamo a Damasso Papa, I versi dei poeti sono cibo dei de-
moni.
Il che, se a bastanza havessero inteso, vedrebbono ancho da noi essere stato fer-
mato, et spetialmente dove già innanzi una volta et un'altra habbiamo detto esser stata


pagina successiva »
 
p. 264r