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Plautus, Titus Maccius - Bacchides » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 266r

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


in contentione, volendo ciascuna che fosse suo cittadino; et sopra ciò ne mossero
lite, sì come chiaramenti si può comprendere per le parole di Cicerone nella
Oratione per Archia, dove dice: I Colophoni dicono che Homero è suo cit-
tadino, i Chii se l'usurpano, i Salamini il dimandano, ma i Smirni conferma-
no ch'egli è suo, di sorte che ancho nel suo castello gli edificarono un tem-
pio; et molti altri medesimamente tra sé per lui contendono.
Il che ancho si ve-
de testimoniare da certi antichissimi divulgati versi tra i dotti, i quali ricordomi
havere letto, et così dire:
Sette cittadi litigan d'Homero
Samo, con Smirne, Colophone, e Chio,

Indi Pilo, con Argo, et con Athene.


Poscia, esso Platone nel medesimo libro della Republica et in altri spesse volte pro-
duce questo in testimonio delle sue conclusioni. Se adunque dalle leggi è tenuto pa-
dre, se ornamento di quelle, se ancho dimandato per cittadino da tante città, et se da
esso precettore Platone prodotto per testimonio, egli è cosa pazza pensare l'istesso
Platone havere commandato tal prudentissimo huomo Poeta dovere essere caccia-
to dalla città. Oltre ciò, per questo editto di Platone istimaremmo Ennio dovere es-
sere scacciato dalla città, il quale della povertà contento fu tanto caro per la virtù sua
ai Scipioni, huomini non solamente per armi, guerre et sangue illustri, ma fami-
gliarissimi della philosophia et per santi costumi famosissimi, che ancho dopo la sua
morte vollero le ceneri di quello essere locate appresso quelle dei suoi maggiori,
et sepolte nella sua archa? Se questi se'l credono, no'l crederò io; anzi tengo che Plato-
ne havrebbe desiderato la sua città essere ripiena di tali huomini. Che diremo poi di So-
lone, il quale, date le leggi agli Atheniesi, benché già fosse vecchio si diede alle cose poe-
tice? Diremmo dovere essere cacciato dalla città colui che ridusse la città scorretta in
vita et costumi civili? Che poscia del nostro Vergilio, del quale (per lasciare il resto)
la faccia tanto si arrosava per vergogna d'ogni dishonesta parola che tra gli
altri dell'età sua udiva a dire, et di maniera se ne vergognava la mente sua che
per ciò, ancho giovane, ne fu chiamato Parthenia, che latinamente risuona ver-
gine overo verginità? Di cui tanti sono i ricordi che ci persuadeno alla virtù (sì come spes-
se fiate già s'è detto) quante sono le parole dei suoi versi; onde, accioché non si abbru-
giasse quella divina opra, sì come egli morendo haveva commandato, Ottaviano Ce-
sare Augusto, lasciato da parte le cure del grandissimo impero, non pure in ciò fe-
ce contra le leggi, ma ancho vi compose quelli versi che fino al dì d'hoggi si leg-
gono, et che dinanzi habbiamo recitati. Del quale medesimamente fino al pre-
sente appresso Mantovani con tanto honore è celebrato il nome, che non poten-
do honorare quelle ceneri tolteli da Ottaviano secondo il disio loro, quel antico suo
poderetto, a guisa d'un huomo che viva, da lui nomato honorano et riveri-
scono, et ai giovani figliuoli i vecchi padri il dimostrarono come una co-
sa sacra et degna di riverenza. Indi agli stranieri che ivi capitano, co-
me quasi per aggrandire la loro gloria, non senza grandissimo testimonio di


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